Il “Libro bianco” del lavoro, allegato ai materiali dell’XI Congresso nazionale della Uiltucs (Venezia, 18-21 aprile 2018), analizzando i mutamenti strutturali in corso nel lavoro del Terziario, accennava a quelli dovuti all’introduzione di tecnologie informatiche che determinano nuovi modi di organizzare il lavoro: uso di piattaforme digitali, smartworking ecc.
Oggi è però necessario dare uno sguardo ancora più approfondito alle trasformazioni in atto per effetto del loro utilizzo.
Una rinnovata edizione del “grande fratello”?
Nell’introdurre -una decina di anni fa- uno studio finanziato dalla Commissione Europea avente per oggetto il tema del rapporto tra “cittadini e videosorveglianza“ (1), Michel Markus tra i motivi principali dell’aumentata presenza delle telecamere sottolineava la sempre maggiore complessità delle città: ”Le città si densificano e si espandono, moltiplicando le offerte di mobilità, di cultura, di educazione, con conseguente richiesta di impianti sempre più complessi, con costi di funzionamento elevati. Diversi flussi di traffico si incrociano, le offerte commerciali più invitanti sono in bella mostra sotto gli occhi dei passanti e ne stuzzicano gli appetiti. La sorveglianza umana 24 ore su 24 diventa impossibile per ragioni economiche, ma le possibilità offerte dall’espansione dell’elettronica, che permette di raccogliere, immagazzinare e incrociare dati e informazioni ai fini del controllo o di disporre di strumenti a fini preventivi o dissuasivi, incitano a moltiplicare le telecamere di sorveglianza…”.
Naturalmente questa espansione dell’utilizzo della videosorveglianza mette a forte rischio la tutela della sfera privata delle persone e sembra dar ragione alle visioni di Orwell descritte nel romanzo 1984 (scritto nel 1949), quello di un mondo super controllato (e manipolato) da poche persone. E’ quindi assolutamente necessario far seguire all’aumento dei controlli un aumento delle garanzie per i cittadini e per i lavoratori.
La necessità di nuove tutele.
Del resto l’attività lavorativa è oggi immersa in un ambiente sempre più controllato, in varie forme, da sistemi informatici e visivi.
Telecamere onnipresenti e sempre accese, si entra in azienda mediante un badge, che oltre a servire per registrare la propria presenza, ne segnala anche i movimenti all’interno del luogo di lavoro attraverso postazioni fisse di radiofrequenze, ne verifica l’attività e l’impegno lavorativo attraverso l’uso dei computer e degli smartphone aziendali, dotati di programmi idonei ad individuare l’attività del singolo lavoratore.
Tutto questo, invece di essere funzionale ad un modo più attivo e più partecipativo di svolgere le proprie mansioni, sembra essere destinato a rendere sempre più subordinato il rapporto di lavoro. Da qui la necessità di contrattare i limiti nell’uso datoriale delle nuove tecnologie.
I fondamenti normativi: l’art.4 dello Statuto dei lavoratori…
Che fare dunque? Ebbene, nonostante le sue modifiche, abbiamo uno strumento importante a disposizione: l’art.4 dello Statuto dei lavoratori, che troviamo sotto il Titolo I della legge denominato Della libertà e dignità del lavoratore, che costituisce ancora un vero e proprio sostegno per una contrattazione di merito.
Né a questo fa ostacolo il fatto che nel 1970 fossero gli impianti audiovisivi al centro della problematica relativa al controllo a distanza dei lavoratori, perché la saggezza del legislatore dell’epoca ha lasciata aperta la porta all’evoluzione tecnologica, che si è poi realizzata nel tempo.
… e le norme per la protezione dei dati personali.
In parallelo con l’evoluzione delle nuove tecnologie informatiche, il dibattito sulla necessità di proteggere i dati personali si è andato sviluppando, a partire dagli anni ’90, a livello della Comunità Europea.
Da qui sono scaturite nuove norme, che si sono andate intrecciando con quelle dello Statuto dei lavoratori.
Parliamo del “Codice in materia di protezione dei dati personali” (decreto legislativo 30 giugno 2003, n.196, entrato in vigore il 1° gennaio 2004) e del Regolamento (Ue) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo o GDPR.
Ecco allora che sono entrati nel linguaggio comune concetti come liceità, correttezza, trasparenza e limitazione della finalità del trattamento; minimizzazione dei dati; esattezza e aggiornamento dei dati, compresa la tempestiva cancellazione di quelli che risultino inesatti; limitazione della loro conservazione per il tempo strettamente necessario rispetto agli scopi; integrità e riservatezza: occorre garantire la sicurezza adeguata dei dati personali oggetto del trattamento.
Lo sviluppo della contrattazione
E’ quello che già sta avvenendo: numerosi sono gli accordi sull’installazione e sulla gestione dei dati ricavabili dalle telecamere, ma si sta già contrattando anche sull’utilizzo dei gps, delle postazioni di radiofrequenze, dell’utilizzo di software di controllo delle operazioni svolte dai lavoratori nelle reti aziendali, dentro e fuori le sedi (smartworking ecc.).
Le linee di intervento sono principalmente due:
- limitare quanto più possibile il “prelievo” e l’uso dei dati personali dei lavoratori, prevedendone anche tempi ristretti per la loro conservazione;
- attivare il ruolo delle rappresentanze sindacali aziendali per non lasciare il lavoratore solo rispetto al potere disciplinare delle gerarchie aziendali.
Una importante distinzione.
Un’opera meritoria dell’Ispettorato nazionale del lavoro: una sua autorevole interpretazione dell’art.4 dello Statuto dei lavoratori ha portato a distinguere tra “strumenti necessari” per rendere la prestazione e “strumenti che si limitano” a migliorare la prestazione.
In estrema sintesi possiamo così tradurre questi concetti generali:
- il controllo anche se da remoto delle attività lavorative svolte tramite strumenti, quali PC o posta elettronica, che siano essenziali per svolgere il lavoro, può essere effettuato a condizione che sia stata data un’adeguata informativa al dipendente e sia rispettata la normativa sulla privacy;
- è vietata invece l’immediata installazione e utilizzo di software o altre apparecchiature, nei casi in cui quei software consentano “solo” un miglioramento della prestazione; in questi casi, infatti, è necessario il ricorso ad un accordo sindacale o, in caso di insuccesso, all’autorizzazione dall’Ispettorato del lavoro.
Questi criteri valgono quindi per tutti i dispositivi con i quali il datore di lavoro può oggi predisporre un controllo continuo sull’attività dei lavoratori. Da qui un importante allargamento delle potenzialità di intervento delle organizzazioni sindacali.
La Uiltucs parte attiva nella tutela dei lavoratori.
All’interno del mondo delle nuove tecnologie informatiche, che come abbiamo visto sono sempre più invasive e che ritroviamo in tutti gli ambienti di lavoro, la Uiltucs sente la necessità di essere protagonista di una contrattazione volta a garantire ai lavoratori dignità e privacy.
I limiti sono finalizzati ad un obiettivo ben preciso: liberare il lavoratore dallo stress di operare in ogni momento della giornata sotto l’occhio vigile del datore di lavoro o della sua struttura gerarchica, sia pure con strumenti nuovi e sofisticati, che poi si traduce in quanto definito anche in sede europea come “stress da lavoro correlato”.
L’organizzazione è chiamata quindi a conoscere, ad analizzare e dibattere sui risultati contrattuali già ottenuti e a consolidare un orientamento comune con l’obiettivo di ampliarne le conquiste.
In conclusione, un nuovo modo di lavorare è possibile e le nuove tecnologie possono migliorare la qualità del lavoro, a condizione che i lavoratori siano messi in condizione di governarle in maniera consapevole e siano quindi protagonisti e non succubi dei nuovi strumenti informatici.
(1) European Forum For Urban Security, Cittadini, città e videosorveglianza, Michel Markus 2010.