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A PROPOSITO DI ASSEMBLEE RETRIBUITE E DI UNA RECENTISSIMA SENTENZA DELLE SEZIONI UNITE DELLA CASSAZIONE.

 di Antonio Vargiu 

Il tema, che abbiamo affrontato nei precedenti articoli, porta con sè due distinte questioni: la prima è se le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative che hanno dato vita alle rsu mantengono il diritto ad indire, per una parte delle ore messe a disposizione dallo Statuto dei lavoratori, assemblee retribuite -e la risposta della Cassazione a questo proposito è stata positiva-; la seconda, anche questa estremamente importante e delicata, è quella del riconoscimento della maggiore rappresentatività, necessaria per esercitare quel diritto.

Le conseguenze di come si decida su questo secondo tema sono molto pratiche e concrete.

Lo dimostrano due sentenze di tribunale, immediatamente successive alla pronuncia della Cassazione. A questo proposito ringraziamo l’avv. Arturo Maresca, titolare della cattedra di Diritto del lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Roma Sapienza, per avercele segnalate.

Innanzitutto dobbiamo sottolineare come gli orientamenti delle due sentenze siano difformi tra loro.

In tutti e due i casi abbiamo cause per attività antisindacale promosse da sindacati non confederali e non maggiormente rappresentativi, almeno a livello nazionale.

La prima sentenza è quella di un tribunale importante, quello di Roma (1). Qui la richiesta di indire una assemblea retribuita era partita dalla Usb-lavoro privato, che, al rifiuto dell’azienda, l’Eni spa, l’aveva citata in tribunale per attività antisindacale.

Il tribunale di Roma non aveva niente da eccepire rispetto alla possibilità che una delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative potesse indire -nei limiti delle tre ore sulle dieci messe a disposizione dallo Statuto dei lavoratori- un’assemblea retribuita.

 

Ma appunto questo diritto era messo a disposizione delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, negando questo requisito alla Usb, che invece riteneva questo requisito gli derivasse dall’aver avuto circa il 20% dei voti nelle elezioni per le rsu.

“Nel settore privato infatti – si legge nella motivazione della sentenza– non esistendo un criterio legale per definire l’effettiva rappresentatività sindacale (e non essendo analogicamente applicabili i criteri valevoli nel pubblico impiego)  l’attribuzione dei benefici alla rappresentanza sindacale riconnessi, a seguito dell’abrogazione referendaria della lettera a) dell’articolo 19 Stat. lav. e dell’intervenuta sentenza Corte Cost. 231/13, è unicamente fondata sul principio del riconoscimento del diritto, sulla base della capacità del sindacato di imporsi al tavolo delle trattative.

Non esiste nell’ordinamento, peraltro, un obbligo datoriale a trattare, in forza del principio generale dell’autonomia contrattuale ai sensi dell’art.1322 c.c., e specularmente non esiste un diritto dell’uno o dell’altro sindacato di partecipare alla contrattazione (da ultimo, Cass. 14511/13).

Tali conclusioni sono avvalorate dalla citata sentenza costituzionale 231/13, che ricorda come «la rappresentatività del sindacato non deriv(i) da un riconoscimento del datore di lavoro espresso in forma pattizia», bensì dalla «capacità del sindacato di imporsi al datore di lavoro come controparte contrattuale», e come l’esclusione di un sindacato dal godimento dei diritti in azienda integri un’«aporia» costituzionalmente intollerabile solo per quel sindacato che, pur non firmatario di alcun contratto collettivo, sia «dotato dell’effettivo consenso da parte dei lavoratori, che ne permette e al tempo stesso rende non eludibile l’accesso alle trattative», in base alla sua preesistente forza di essere riconosciuto come interlocutore.

cgil-cisl-uil

La partecipazione alle trattative è quindi lo strumento di misurazione della forza di un sindacato, e, di riflesso, della sua rappresentatività; mentre infondata sarebbe la pretesa di derivare aliunde (per altra ragione -ndr) siffatta rappresentatività, e di fondarvi il diritto di essere ammesso alle trattative (e quindi all’esercizio delle connesse prerogative sindacali statutarie, incluso il diritto di assemblea)”.

Diversamente, invece, si è pronunciato un altro tribunale, quello di Terni (2), chiamato ad un’analoga pronuncia da parte dei Cobas, che denunciavano per attività antisindacale la Coop Centro Italia sia per aver negato il diritto a convocare un’assemblea sindacale retribuita sia per aver negato copia della planimetria allegata all’accordo per l’installazione delle apparecchiature di videosorveglianza all’interno dell’ipercoop di Terni (evidentemente non sottoscritto dai Cobas). Quest’ultima richiesta veniva poi lasciata cadere.

Venendo al punto della causa, il Tribunale, dopo aver accolto in pieno l’orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione sul diritto ad indire assemblee, riconosce che questo diritto non può essere sganciato da una effettiva rappresentatività di un soggetto sindacale.

Però, dopo tutte queste giuste premesse, fa una scelta interpretativa strana: ritiene che i criteri di rappresentatività che fanno riferimento all’art.19 dello Statuto non bastano...in quanto superati dalle “prerogative riconosciute dall’autonomia collettiva”.

Sembra quasi una presa in giro delle organizzazioni sindacali confederali: sarebbero le norme definite per eleggere le nuove rsu a creare una specie di “nuovo” criterio di rappresentatività.

Quindi il tribunale, “richiamando sul punto una conferente sentenza del Tribunale di Alessandria (sentenza n.106/2016 pubblicata in data 12.04.2016 estensore GL dott. Polidori e confermata dalla Corte d’appello di Torino con sentenza n.640/2017 del 1.08.2017): “ … la rappresentatività deriva dal “riconoscimento del diritto di ciascun lavoratore ad eleggere rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro”, per utilizzare uno dei plurimi criteri indicati dalla Corte costituzionale; per luoghi di lavoro, del resto, devono intendersi proprio le singole unità produttive, dove si svolgono le elezioni per le RSU”.

Morale della favola: siccome, “nel punto vendita di Terni alle elezioni RSU tenutesi il 20, 21 e 23 settembre 2013 delle tre liste presentate (CGIL, UIL e COBAS), la lista COBAS ha ottenuto 45 voti pari ad una quota di 30,2% con l’elezione di un proprio rappresentante, quella CGIL 79 voti pari ad una quota del 53% con elezione di 5 rappresentanti, mentre la UIL 22 voti pari ad una quota del 14,7% con l’elezione di 2 rappresentanti”, questo risultato darebbe il diritto ai Cobas di essere considerati maggiormente rappresentativi ai fini del diritto di indire, come singola organizzazione,  assemblee dei lavoratori retribuite.

Da qui la condanna della Coop per attività antisindacale.

A quest’ultimo proposito vogliamo fare alcune considerazioni:

  1. a) la prima, questa sentenza non è, nonostante tutto, maggioritaria nella attuale giurisprudenza;
  2. b) Filcams Cgil Fisascat Cisl e Uiltucs avrebbero creato un nuovo criterio per definire la rappresentatività, che –nel caso di specie- riguarderebbe un solo punto vendita (sic!) e sarebbe il frutto di una specie di autogol delle organizzazioni maggiormente rappresentative sia a livello nazionale che aziendale.

In sostanza avremmo un criterio di rappresentatività a livello nazionale, uno a livello aziendale e uno a livello di punto vendita (o di unità produttiva)!

Il paradosso consiste nel fatto che si vorrebbero concedere alcuni diritti sindacali in un punto vendita ad una organizzazione sindacale che non può assolutamente averli a livello di azienda.

Ci sembra veramente eccessivo: inoltre sarebbe come voler dar vita ad una giungla, ma senza vie d’uscita!

assemblea

In conclusione vogliamo sottolineare un fatto: nel ccnl distribuzione cooperativa si parla del diritto di indire assemblee retribuite a favore delle organizzazioni  maggiormente rappresentative senza ulteriori specificazioni.

Come abbiamo visto, questo sembra dare ad alcuni giudici lo spazio per interpretazioni assolutamente paradossali.

Per questo motivo non possiamo non sottolineare come, invece, nel ccnl TDS (Confcommercio), viene dato “nome e cognome” a chi ha diritto, anche in regime di “rsu”, ad indire assemblee retribuite per 3 delle 10 ore previste  dallo Statuto dei lavoratori: appunto  Filcams Cgil Fisascat Cisl e Uiltucs.

Certamente la norma, scritta in questa maniera molto più chiara, renderebbe estremamente più difficile “sfornare” interpretazioni che a noi sembrano alquanto fantasiose.

 

(1)eni-sentenza-rg-1801-15

 

(2)sentenza-trib-lav-terni-coop-cobas-21-settembre-2017

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