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di Antonio Vargiu

In effetti non possiamo non convenire sull’affermazione di Chiara Di Clemente (1) a proposito dell’ultima poesia di Mariangela Gualtieri “Nove marzo duemilaventi”: “La poesia più bella di questi giorni, quella che probabilmente tra anni verrà ricordata per raccontare quel che viviamo oggi nell’isolamento affettivo del Coronavirus”.

Non casualmente avevamo incominciato a parlare di questa grande poetessa in uno degli ultimi numeri del nostro sito (2).

Quest’ultima poesia ve la proponiamo in versione integrale. Scusandomi in anticipo con l’autrice mi sono permesso una “licenza poetica”. Ne avevamo già parlato: le poesie di Gualtieri sono fatte per essere recitate ad alta voce e per coinvolgere totalmente gli ascoltatori. Quando sono scritte il rischio è che, qualche volta, la loro lunghezza non faccia soffermare in maniera adeguata il lettore su concetti molto profondi. Da qui uno stacco che mi sono permesso di fare tra versi di una stessa, compatta poesia.

Nove marzo duemilaventi

guarnieri

Questo ti voglio dire

ci dovevamo fermare.

Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti

ch’era troppo furioso

il nostro fare. Stare dentro le cose.

Tutti fuori di noi.

Agitare ogni ora – farla fruttare.

Ci dovevamo fermare

e non ci riuscivamo.

Andava fatto insieme.

Rallentare la corsa.

Ma non ci riuscivamo.

Non c’era sforzo umano

che ci potesse bloccare.

E poiché questo

era desiderio tacito comune

come un inconscio volere –

forse la specie nostra ha ubbidito

slacciato le catene che tengono blindato

il nostro seme. Aperto

le fessure più segrete

e fatto entrare.

Forse per questo dopo c’è stato un salto

di specie – dal pipistrello a noi.

Qualcosa in noi ha voluto spalancare.

Forse, non so.

 

Adesso siamo a casa.

È portentoso quello che succede.

E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.

Forse ci sono doni.

Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.

C’è un molto forte richiamo

della specie ora e come specie adesso

deve pensarsi ognuno. Un comune destino

ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.

O tutti quanti o nessuno.

cidovevanfermare

È potente la terra. Viva per davvero.

Io la sento pensante d’un pensiero

che noi non conosciamo.

 

E quello che succede? Consideriamo

se non sia lei che muove.

Se la legge che tiene ben guidato

l’universo intero, se quanto accade mi chiedo

non sia piena espressione di quella legge

che governa anche noi – proprio come

ogni stella – ogni particella di cosmo.

Se la materia oscura fosse questo

tenersi insieme di tutto in un ardore

di vita, con la spazzina morte che viene

a equilibrare ogni specie.

Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,

guidata. Non siamo noi

che abbiamo fatto il cielo.

 

Una voce imponente, senza parola

ci dice ora di stare a casa, come bambini

che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,

e non avranno baci, non saranno abbracciati.

Ognuno dentro una frenata

che ci riporta indietro, forse nelle lentezze

delle antiche antenate, delle madri.

Guardare di più il cielo,

tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta

il pane. Guardare bene una faccia. Cantare

piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta

stringere con la mano un’altra mano

sentire forte l’intesa. Che siamo insieme.

Un organismo solo. Tutta la specie

la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.

 

A quella stretta

di un palmo col palmo di qualcuno

a quel semplice atto che ci è interdetto ora –

noi torneremo con una comprensione dilatata.

Saremo qui, più attenti credo. Più delicata

la nostra mano starà dentro il fare della vita.

Adesso lo sappiamo quanto è triste

stare lontani un metro.

 

 

  • Chiara Di Clemente, Quotidiano.net, 21 marzo 2020.
  • Antonio Vargiu, “Mariangela Gualtieri: una passione per la vita espressa in versi”, Diario (d’amore, di lotta ecc…), n.50 settembre-ottobre 2019.

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