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di Antonio Vargiu

Per “fare festa” in questa primavera 2025 potevamo fare come quasi tutti gli altri anni, limitarci cioè al solito articolo antologico, che peraltro continuiamo ad amare, sul ritorno della bella stagione come cantato da tanti poeti, classici e no.

Questa volta abbiamo invece voluto ricordare uno dei più grandi poeti contemporanei (è morto quattro anni fa), Franco Loi, parlando di un suo “libretto” da cui emerge la grazia e la forza di cantore della luce e della primavera.

Il fatto che lui scriva in dialetto milanese non fa diminuire il piacere della sua lettura, anche perché, per noi non milanesi, Franco Loi mette accanto al suo testo dialettale una splendida “traduzione” in italiano.

Il “libretto” che vi proponiamo alla lettura è non a caso intitolato “El bunsai”. Ci serviamo, per l’introduzione al testo del bell’articolo di Paolo Senna “La vita intatta. Ambivalenze e illuminazioni dell’attesa nel Bunsai di Franco Loi” (1).

“El bunsai è una plaquette di quattro poesie inedite di Franco Loi, pubblicata nell’aprile del 2005 per gli eleganti tipi de “Il ragazzo innocuo”. L’edizione contiene anche un’acquaforte originale per mano del poeta stesso che raffigura un bonsai con tratti sottili e graffianti. Si tratta dunque di una pubblicazione brevissima, istantanea, che addirittura fa a pugni con il concetto stesso di raccolta poetica; eppure, per quanto esile, non si tratta di un gruppo eterogeneo di liriche, ma di versi saldamente ancorati ad alcuni concetti fondanti e condivisi che marcano la continuità della riflessione di Loi con le pubblicazioni degli ultimi anni…”.

 

Ed ecco il primo testo, così commentato“…La poesia nasce da un atto di stupore: la primavera, che sembra ribollire di gioia anche nelle giornate piovose (ch’anca nel piöv la par semper cantà), spinge il poeta a domandarsi se essa sia dono della natura o della man legera di Dio (in varie occasioni Loi ha sottolineato come Dio sia in tutte le cose). L’afflato lirico investe il testo fino al v. 6 e culmina in una seconda frase esclamativa. Tra i vv. 6-7 il poeta presenta una marcata antitesi funzionale a un cambiamento di rotta (insieme di tono e di senso), introdotta significativamente dall’avversativa ma che trascina una serie di contrapposizioni sia sul piano lessicale che su quello semantico in un perfetto parallelismo: turna/sturna, matina/nottciar/[gazza] nera. Dall’esclamazione si passa così alla riflessione, che non viene tuttavia espressa in modo esplicito, ma fissata in una coppia di immagini: dapprima nel correlativo oggettivo della gazza nera; poi in quello dell’acqua stessa nel suo continuo moto. La prima parte del testo è giocata sull’area semantica della luce e del chiarore, significativamente esemplati nella primavera, cui si contrappone quella dell’oscurità, presente in varie tessere lessicali: la notte, la gazza nera, la profondità delle onde del mare”.

Cume la ciàmum, Diu, sta primavera

Cume la ciàmum, Diu, sta primavera

ch’anca nel piöv la par semper cantà!

L’è la natüra o la tua man legera,

de ti, che vita e mort te sé giügà?

Oh dìss amur cume se dîs de sera

turna matina e tucca j öcc un ciar!

ma sturna vègn la nott, ’na gazza nera

che sì vulà ghe piâs ma sott gh’è ’l mar

e quèl möess de l’aqua sensa fund

che piâs stâgh dent ma fa paüra i und.

Come la chiamiamo, Dio, questa primavera

Come la chiamiamo, Dio, questa primavera

che anche nel piovere sembra sempre cantare!

È la natura o la tua mano leggera,

di te, che vita e morte sai giocare?

Oh dirsi amore come si dice di sera

torna mattina e tocca gli occhi un chiaro!

Ma come storno viene la notte, una gazza nera

che, sì, volare gli piace ma sotto c’è il mare

e quel muoversi dell’acqua senza fondo

in cui piace stare dentro ma fanno paura le onde.]*

*La traduzione è del poeta.

 

La raccolta è composta da quattro liriche, di cui ora vi riproponiamo l’ultima.

Sempre dall’articolo di Paolo Senna:”…La lirica è un vero e proprio discorso sulla poesia e sulla riflessione che conduce alla scrittura: non a caso compaiono numerose tessere lessicali che rimandano all’idea dello specchio e dell’immagine riflessa o, meglio, del pensiero riflesso su un supporto tangibile e reale (come è appunto la scrittura). La situazione descritta è quella di un’epifania nella più scontata quotidianità, quella probabilmente della propria casa: i pensieri dell’io lirico vengono riflessi sulla superficie semilucida della pistrella slavagiada [piastrella dilavata] e subiscono una metamorfosi in colori e luce, e non una luce qualsiasi, ma la lüs del ver [la luce del vero]. Il pensiero prende così corpo attraverso un’opera di riflessione che è al contempo astrazione e concretamento: e i mè penser fàn corp sü la lüsnada / d’aqua e nel spègg [e i miei pensieri fanno corpo col lampo di luce / d’acqua e nello specchio]. In questo farsi “corpo” dei pensieri è da riconoscere l’attività più profondamente autentica della poesia. Il pensiero riflesso nella e dalla realtà viene come corroborato e “informato” dalla luce del vero che gli conferisce corpo, divenendo parola…”.

 

A bucca ’vèrta me anfi i mè penser

A bucca ’vèrta me anfi i mè penser

reflèss sü la piastrella slavagiada

e bevi i sò culur, la lüs del ver,

e i mè penser fàn corp sü la lüsnada

d’aqua e nel spègg che tègn recôrd de ier…

Ah föj, bunsai che trèma süj piastrell

e spetta se la lüs de la mia faccia

buffa cusciensa nel passà ’n üsell…

A bocca aperta affanno i miei pensieri

A bocca aperta affanno i miei pensieri

riflessi sulla piastrella dilavata

e bevo i suoi colori, la luce del vero,

e i miei pensieri fanno corpo col lampo di luce

d’acqua e nello specchio che ricordi di ieri…

Ah foglie, bonsai che tremi sulle piastrelle

e aspetti se la luce della mia faccia

soffia coscienza nel passare di un uccello…]

*La traduzione è del poeta.

 

 

 

  • Pelagos rivista di letteratura contemporanea pelagosletteratura.it, La vita intatta. Ambivalenze e illuminazioni dell’attesa nel Bunsai di Franco Loi, Paolo Senna, 1 Gennaio 2013.

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