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Prima che un invito alla lettura di poeti e di poesie, questo è un invito alla “visione” del cielo notturno in un periodo dell’estate che spesso coincide con le nostre ferie e le nostre vacanze.

E’questo il momento più adatto per fare un piccolo sforzo per allontanarci dalle troppe luci delle nostre città e fermarci a contemplare la volta stellata, riflettendo sul senso della nostra vita, sia personale che quella dell’umanità intera.

Dopo aver cominciato, anche con una qualche guida, a “leggere” il cielo del nostro emisfero e a distinguere le varie costellazioni (dal Carro maggiore in poi), possiamo passare a leggere o rileggere la profondità dei versi di poeti “classici” del passato o di nostri contemporanei.

Così faremo –molto brevemente- in questo articolo, riprendendo una bella abitudine di qualche anno fa.

Ci sembra naturale partire da Dante e dal suo viaggio attraverso l’abisso dei mali e dei peccati dell’uomo in tutte le sue varie forme.

Ma il viaggio ha un senso e una meta: è il riscatto di chi, riconoscendosi manchevole, aspira a tornare alla sorgente di tutto, il creatore.

Qui ne riproponiamo solo dei brevi frammenti, che sono le tre “chiuse” della sua “divina” Commedia.

Inferno XXXIV

Luogo è là giù da Belzebù remoto
tanto quanto la tomba si distende,
che non per vista, ma per suono è noto

d’un ruscelletto che quivi discende
per la buca d’un sasso, ch’elli ha roso,
col corso ch’elli avvolge, e poco pende.

Lo duca e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo;
e sanza cura aver d’alcun riposo,

salimmo sù, el primo e io secondo,
tanto ch’i’ vidi de le cose belle
che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo.

E quindi uscimmo a riveder le stelle.

 

Purgatorio/Canto XXXIII

S’io avessi, lettor, più lungo spazio

da scrivere, i’ pur cantere’ in parte
lo dolce ber che mai non m’avria sazio;
ma perché piene son tutte le carte
ordite a questa cantica seconda,
non mi lascia più ir lo fren de l’arte.

 

Io ritornai da la santissima onda
rifatto sì come piante novelle
rinovellate di novella fronda,
puro e disposto a salire a le stelle.

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Paradiso – Canto XX
XIII

Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,
tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova;
ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.
A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,
l’amor che move il sole e l’altre stelle.

 

Dopo queste citazioni belle e solenni, ci sta bene un frammento dello scanzonato poeta romanesco, Trilussa (1).

Stella cadente

Quanno me godo da la loggia mia
quele sere d’agosto tanto belle
ch’er celo troppo carico de stelle
se pija er lusso de buttalle via,
a ognuna che ne casca penso spesso
a le speranze che se porta appresso.

Perché la gente immaggina sur serio
che chi se sbriga a chiede quarche cosa
finché la striscia resta luminosa,
la stella je soddisfa er desiderio;
ma, se se smorza prima, bonanotte:
la speranzella se ne va a fa’ fotte…

Ora non può mancare un poeta del Novecento, Giuseppe Ungaretti (2), stringato ed antiretorico, con un breve commento tratto dal blog “A mio agio nel disagio”

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La notte bella

 

Quale canto s’è levato stanotte

che intesse

di cristallina eco del cuore

le stelle

Quale festa sorgiva

di cuore a nozze

Sono stato

uno stagno di buio

Ora mordo

come un bambino la mammella

lo spazio

Ora sono ubriaco

d’universo

 

Riportiamo una brevissima parte del commento e dell’illustrazione della poesia  dal blog “A mio agio nel disagio”:

“La notte bella” è una poesia composta dal poeta  Giuseppe Ungaretti nel 1916,

durante lo svolgimento della Prima Guerra Mondiale.
In questi versi, l’autore descrive le sensazioni provate, nel bel mezzo della notte, di fronte ad un cielo stellato: avverte il dolce canto degli astri che gli attraversa il cuore, e che lascia dietro di sé un’eco; vive sentimenti profondi, una felicità paragonabile a quella di una festa di nozze. In passato non era altro che uno stagno buio,  privo di luce, ma ora, di fronte a tanta magnificenza, la sua condizione cambia.
Improvvisamente, entra in contatto con l’universo, lo attira a sé e ne morde la mammella come un bambino. Lo spazio non sembra intimorirlo, bensì genera in lui una pace interiore che lo pervade. L’assoluto è  tangibile, si mescola con la notte, ed è accompagnato dal suono delle stelle…”.

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A questo punto citiamo un ultimo “poeta ufficiale”, a noi più contemporaneo e di cui abbiamo già parlato su questo sito, Giuseppe Grattacaso (3).

I brani che riportiamo sono tratti dalla sua raccolta, intitolata non a caso “I bicchieri e le stelle”.

 

 

Varco anni luce, gli abissi siderali,
oltrepasso galassie, le comete,
posso vedere ma non lo conosco,
quello che è luce e quello che è nel fosco
del buio infinito. Ma se mi addormento
sparisce tutto quanto, è nello sguardo
la stella più lontana e il mio tormento
di non sapere, il dubbio non risolto
di essere dispersi e andare avanti
per sempre naviganti e non c’è mare.
Perciò se fosse lo sguardo circoscritto
a poche miglia, noi sapremmo solo
il glicine, il limone marzaiolo,
il passero che salta e in un sussurro
il vento tra il ciliegio e il niente intorno,
tutto finito dopo pochi passi,
appena un po’ di cielo, un tenue azzurro
e poi più niente, solo rami bassi.

 

***

La vita dei bicchieri e delle stelle,
tutta gentile e tutta risplendente
brillante di gas elio o detergente,
è quello che noi siamo e non sappiamo,
bagliore nello spazio quotidiano,
l’immediato presente e il più lontano,
è l’esistenza senza alcun confine
nell’universo, il gesto luminoso
della mano, il raggio che ci sfiora
e che si apparta, il cielo che rivela
la nostra carne terrena e siderale,
lo scompiglio del fiato universale.

 

 

 

 

Infine non poteva mancare, almeno in questo sito, la voce di un “poeta non ufficiale”, l’autore cioè di questo articolo, che riflette -nei suoi versi- sul rapporto tra il destino dell’uomo su questa piccola, ma meravigliosa Terra e l’immenso firmamento di cui fa parte.

Le prime due poesie, già pubblicate (4), sono dedicate alla moglie, scomparsa quasi 10 anni fa, mentre la terza, inedita, si misura con i misteri dell’esistenza dell’uomo, con la sua miseria (Che cos’è l’uomo perchè te ne ricordi? Salmo 8) ma anche con la sua grandezza e con il suo ruolo insostituibile di essere -nel bene o nel male- la coscienza dell’universo.

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Forse sarà come

 

Forse sarà come,

dopo una notte, nera di pioggia,

si svelerà il mattino di luce:

di smeraldo i prati,

blu il cielo,

rosso rubino l’oriente.

 

Non farà eco il passo,

non serviranno parole.

Nei tuoi occhi sprofonderò

alla radice dell’anima.

Guarda tu all’interno del mio cuore,

purifica questo groviglio di rovi.

 

Altro non so

che questo fiume carsico della vita,

che ora s’immerge,

erutterà di nuovo

in uno scintillio di stelle.

 

 

Tramontata la luna

 

Tramontata la luna,

si fa più buia l’attesa.

 

In vertigini di spazio

sprofonda il silenzio.

 

Splendente come questo fiume di stelle,

tornerà il tuo sorriso?

 

Traccio geroglifici sulla carta

Traccio geroglifici sulla carta.

 

Se io scrivo:

“s’accendono le stelle,

il Carro maggiore”

o “rosse come la sera al tramonto,

le tue labbra”,

cuore e coscienza aggiungo

a questo infinito universo.

 

 

Note

(1) Nato a Roma il 26 ottobre 1871 e morto, sempre a Roma, il 21 dicembre 1950, Trilussa, pseudonimo anagrammatico di Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri, è stato un poeta, scrittore e giornalista italiano, particolarmente noto per le sue composizioni in dialetto romanesco.

(2) Giuseppe Ungaretti è stato un poeta, scrittore, traduttore e accademico italiano. Nato l’8 febbraio 1888 ad  Alessandria d’Egitto è morto Milano il 1° giugno 1970.

(3) Giuseppe Grattacaso: La luce che attraversa le cose, Diario (d’amore, di lotta e…), n.5, gennaio 2015.

(4) Antonio Vargiu, Eppure la vita, Phasar Edizioni, 2016.

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