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La sua definizione

Per questo ci serviamo della legge che ha introdotto in Italia il lavoro agile (o smart working, all’inglese):” il lavoro agile è una modalità di svolgimento della prestazione di lavoro subordinato che consiste nell’operare in parte all’interno di una sede aziendale e in parte all’esterno in un luogo scelto dal lavoratore”.

L’obiettivo è, da una parte, quello di favorire la crescita della produttività, dall’altra di aiutare il lavoratore a conciliare i tempi di vita e di lavoro.

Vogliamo da subito sottolineare che i vantaggi tra le parti sono reciproci: non è solo il lavoratore che, a certe condizioni, migliora la sua vita e il suo modo di lavorare (riduzione dei tempi di viaggio, minore spese di trasporto ecc.).

Anche l’azienda, infatti, ne trae diversi benefici che vanno da una maggiore flessibilità a una importante riduzione dei “costi di produzione” (affitti, consumi di luce ecc.).

Il lavoro agile è oggi (*) disciplinato dalla legge n.81 del 22 maggio 2017 (artt.18-21), che stabilisce che l’accesso a questa modalità di lavoro è su base volontaria ed è frutto di accordo tra datore di lavoro e lavoratore.

La pandemia e l’utilizzo del lavoro agile in regime d’emergenza.

La pandemia da coronavirus ha cambiato profondamente le possibilità di utilizzo del lavoro agile. Una norma “emergenziale” ha infatti disposto la sospensione del “patto individuale”, dando vita ad una “procedura semplificata” che ha consentito ai datori di lavoro di disporre il lavoro agile in maniera unilaterale. Questo perché era necessario operare il più possibile “in isolamento” al fine di impedire la diffusione del contagio e di consentire il più possibile la ripresa delle attività lavorative.

La dimensione quantitativa, prima durante e dopo la pandemia (**).

Il lavoro agile, anche con il sostegno della legge, ha veduto già una crescita nel periodo pre-pandemia.

Nel 2019 coinvolgeva, infatti, circa 570 mila lavoratori, il 20% in più rispetto all’anno precedente.

La crisi da covid ha aumentato enormemente le giornate di lavoro svolte fuori dalle sedi aziendali.

Al massimo del picco, nel 2020, la cifra ha raggiunto i 6 milioni e 800 mila lavoratori, coinvolgendo il 97% delle grandi imprese, il 58% delle piccole e medie imprese e il 94% della pubblica amministrazione. Il tempo di lavoro da remoto ha superato, mediamente, il 50% di quello contrattuale.

I numeri sono poi variati seguendo l’andamento della pandemia e sono andati progressivamente calando. Le previsioni, fondate su dati di ricerca sul campo, parlano di più di 4 milioni di lavoratori “agili”, con una media di 2 giorni alla settimana lavorati all’esterno delle aziende.

Un cambiamento “qualitativo”.

Pur senza assolutizzare il fenomeno, è chiaro che il lavoro dopo la pandemia vedrà profondi cambiamenti, di cui il lavoro agile ne costituisce una parte notevole.

Questi cambiamenti stanno interessando non solo il lavoro aziendale e il suo modo di svolgerlo, ma anche la struttura produttiva e sociale delle grandi e medie città.

Infatti, pur non cedendo a visioni estreme o apocalittiche (centri abbandonati e deserti ecc.), non si può non mettere in evidenza lo spostamento oggi in atto di attività e di servizi verso le periferie.

La contrattazione in atto.

Già prima della pandemia, sulla scorta della legge 81/2017, si è sviluppata una contrattazione principalmente sulle seguenti tematiche:

  1. Identificazione “platea” dei lavoratori che possono accedere: settori aziendali, qualifiche, ecc.;
  2. modalità di esecuzione della prestazione lavorativa;
  3. diritto di recesso;
  4. modalità di scelta del luogo di lavoro;
  5. orario di lavoro e diritto alla disconnessione;
  6. fornitura delle attrezzature di lavoro;
  7. accesso al welfare aziendale;
  8. diritti di informazione su salute e sicurezza sul lavoro;
  9. pieno riconoscimento dei diritti sindacali.

Il Protocollo Nazionale sul lavoro agile (***).

Una premessa. Non possiamo non esprimere il nostro rammarico per il fatto che questo Protocollo è stato aperto alla firma di associazioni imprenditoriali e sindacali che si sono rese protagonisti della sottoscrizione, anche nei nostri settori, di sedicenti contratti nazionali, sicuramente non maggiormente rappresentativi e sicuramente penalizzanti per i lavoratori a cui questi contratti vengono applicati.

Detto questo, il documento sottoscritto ha una grande importanza e vogliamo sottolinearne quei punti che vanno oltre a quanto prescritto dalla legge del 2017.

Il primo e il più importante è l’impegno delle parti sociali a “valorizzare la contrattazione collettiva quale fonte privilegiata di regolamentazione dello svolgimento della prestazione di lavoro in modalità agile”, come afferma solennemente la Premessa.

Le parti sociali riconoscono cioè che il patto individuale e volontario, che è alla base del lavoro agile, deve trovare una sua collocazione all’interno delle regole e degli accordi sulla complessiva organizzazione degli orari e del lavoro.

Un altro elemento di grande rilievo presente nel Protocollo è il pieno riconoscimento per il “lavoratore agile” del diritto ad usufruire di tutto il welfare di cui gode chi presta la propria opera solo all’interno della sede aziendale.

E’ ovvio che dentro il welfare ci può essere anche la previsione di un buono pasto, che non può essere negato – secondo quanto implicitamente concordato nel Protocollo- allo “smart worker”.

Un’altra questione, già presente nella legge e confermata dal protocollo nazionale, è quella della inclusività, di una modalità di impiego cioè volta a favorire la partecipazione nel mercato del lavoro di soggetti con particolari esigenze o problematiche personali o familiari, quali i lavoratori disabili, i lavoratori affetti da gravi patologie e chi è impegnato nell’assistenza di parenti malati, figure queste che devono godere di una priorità nell’accesso allo SW rispetto agli altri colleghi.

Dopo l’emergenza: governare il cambiamento, contrattare la nuova condizione di lavoro.

Anche in vista della fine delle normative emergenziali, molte imprese non hanno rinunciato a contrattare l’utilizzo del lavoro agile. Le modalità stesse del lavoro svolto al di fuori delle sedi aziendali si stanno modificando, in quanto i lavoratori tendono ad operare non più solo all’interno della propria casa, ma anche ad usufruire di servizi che si stanno organizzando, soprattutto all’interno delle grandi città, come ad esempio locali con postazioni di lavoro da remoto appositamente attrezzate (il cd coworking).

In ogni caso –sempre nei grandi centri urbani- si pone in termini nuovi il rapporto tra centro e periferia, non certo perché avremo centri totalmente spopolati. Questi centri dovranno però sviluppare attività produttive e servizi in parte diversificati rispetto al passato, mentre le periferie dovranno essere dotate di più centri di incontro comunitari.

Da un punto di vista contrattuale –tra i temi di cui abbiamo già parlato- una questione di grande importanza ha e continuerà ad avere la questione del rapporto tra contenuti e qualità del “lavoro agile” e organizzazione del lavoro complessiva dell’azienda.

Per essere chiari, va bene sottolineare l’importanza di introdurre una valutazione del lavoro commisurandola in parte agli obiettivi, ma pensare che questo possa sostituire la prestazione misurata in ore di lavoro rischia di essere una mistificazione.

Per questo motivo fondamentale rimane la contrattazione delle fasce di orario in cui può operare il lavoratore e il diritto a una reperibilità che sia all’interno del proprio orario di lavoro e alla disconnessione al di fuori di esso, disconnessione che deve essere garantita in modo da impedire che il dipendente si veda impegnato in attività lavorative per tutta la giornata.

Sarà importante dar vita, all’interno della nostra organizzazione, a momenti di informazione, di riflessione e di confronto sugli esiti della contrattazione sviluppata a livello aziendale in tema di lavoro agile, in modo di trarne linee guida per un suo ulteriore sviluppo.

Questa tematica, infatti, dovrà a breve essere inserita all’interno del rinnovo dei nostri contratti nazionali con la conferma e il rafforzamento dei principi e delle indicazioni presenti nel Protocollo nazionale.

In questa maniera si darà vita a un sistema coerente in grado di recepire i nuovi modi di lavorare e di sfruttare le opportunità derivanti dall’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche.

 

(*) Una breve nota per chiarire la confusione che si fa a proposito di telelavoro e di lavoro agile.

Innanzitutto il telelavoro è stato oggetto dell’accordo interconfederale del 9 giugno 2004 che ha recepito l’accordo quadro europeo sul telelavoro del 16 luglio 2002.

L’accordo è stato sottoscritto in Italia da tutte le associazioni imprenditoriali rappresentate a Bruxelles e da Cgil Cisl e Uil e contiene “in embrione” tutte le norme recepite successivamente dalla legge 81/17.

Da nessuna parte c’è scritto che il telelavoro è una modalità di lavoro “da casa”. Si prevede solo che, se il lavoro si svolge nella propria casa, interventi di controllo del datore di lavoro o dell’autorità competente sono possibili solo dietro consenso e preavviso del lavoratore.

Nessuna particolare qualifica è prevista per il “telelavoratore”.

(**) I dati sono forniti dall’ dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano.

(***) Il “Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile” è stato sottoscritto il 21 dicembre 2021 presso il Ministero del Lavoro.

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