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Uno dei temi che seguiamo in maniera costante per la sua importanza è quello relativo alla previdenza integrativa, soprattutto dopo l’entrata a regime del nuovo sistema contributivo.

Recentemente, però, il governo Renzi, invece di favorirne l’adesione, sta continuando a mettere ostacoli sulla strada dello sviluppo di questa importante forma di previdenza.

Ne parliamo con Domenico Proietti, segretario della Uil, che segue –per la nostra confederazione- lo sviluppo del sistema previdenziale nel nostro paese e le sue problematiche, ovviamente dal punto di vista dei lavoratori.

Caro Domenico, questo governo non fa niente per incentivare l’adesione a forme di previdenza integrativa. Sembra, anzi prendere di mira soprattutto le forme collettive di origine contrattuale.

Cominciamo dalla famigerata “operazione Tfr in busta paga”. Questo tentativo di aumentare risorse pronte a trasformarsi in consumo a spese del futuro dei lavoratori e della possibilità per loro di far fronte a una pensione pubblica sempre “più leggera” o a periodi sempre più lunghi di mancanza di lavoro è, praticamente, fallito.

Siamo stati facili profeti quando dicemmo che una proposta di questo genere non avrebbe portato gli effetti tanto pubblicizzati dal Governo. Ad oggi, infatti, solo lo 0,08% dei lavoratori ne ha fatto richiesta.

Da parte del Governo è stata una scelta sbagliata su più fronti, innanzitutto perché per dare oggi liquidità ai cittadini non si può minarne il futuro. Togliere il TFR dalla disponibilità futura dei lavoratori è un grave errore, tanto più se questo è stato destinato alla previdenza complementare, pilastro sempre più importante per integrare la pensione.

In secondo luogo la scelta di applicare le aliquote di tassazione ordinarie e non la tassazione separata ha fortemente depotenziato un intervento di per se già debole”.

Un’altra “pietra d’inciampo” è stata messa in campo con la legge di stabilità 2015. È stato l’ennesimo modo per far cassa a spese dei cittadini e, in particolare, dei lavoratori, con un aumento della tassazione sui rendimenti dei fondi pensione dall’11% del 2013 fino al 20% di oggi. Tra l’altro un provvedimento con effetto retroattivo, che contribuisce ad alimentare la sfiducia nei confronti del fisco e, quindi, dello Stato.

L’incremento della tassazione sui rendimenti va sicuramente nella direzione opposta a quelle che dovrebbero essere le finalità di rilancio e incentivazione della previdenza complementare.

Secondo noi il sistema del secondo pilastro dovrebbe indirizzarsi verso un sistema EET ovvero esenzione in fase di versamento, esenzione in fase di accumulo e tassazione solo al momento della prestazione finale.

Questo tipo di struttura è quello più diffuso in Europa ed ha il pregio di favorire la crescita della posizione previdenziale del lavoratore”.

Sempre la stessa legge di stabilità ha “promesso” di compensare questo innalzamento della tassazione con crediti di imposta, nel caso che i fondi pensione effettuino “investimenti nell’economia reale”.

Di che cosa si tratta? Realisticamente è possibile attendersi sviluppi positivi?

Per la UIL il credito d’imposta per gli investimenti nell’economia reale non può essere considerato una risposta all’aumento della tassazione sui rendimenti.

Innanzitutto il plafond stanziato per tutte le casse di previdenza è di soli 80 milioni di euro, a fronte degli oltre 400 milioni di euro prelevati con l’aumento della tassazione. Inoltre l’effetto del credito di imposta, oltre a complicare ulteriormente il regime di tassazione di previdenza complementare, avrà effetti limitati stante il peso relativamente contenuto degli investimenti di medio lungo periodo sui portafogli dei Fondi Pensione. Poi è anche sbagliata la scelta di individuare gli investimenti assoggettabili al credito di imposta con un semplice decreto ministeriale senza prevedere il minimo coinvolgimento dei fondi pensione e delle relative fonti istitutive.

Siamo convinti che dai Fondi Pensione possa giungere un forte contributo all’economia reale del Paese, ma se ciò è avvenuto solo in parte è a causa del ritardo del mercato italiano, che ancora non è in grado di offrire prodotti che siano in linea con le finalità di risparmio previdenziale che perseguono i fondi pensione”.

Ma ecco un altro ostacolo: il disegno di legge sulla concorrenza liberalizza, per così dire, il campo d’azione dei fondi pensione. Ovviamente, non solo quelli contrattuali, ma anche quelli gestiti dalle assicurazioni in varie forme (polizze, pip ecc.).

Il contributo datoriale non c’entra nulla con la concorrenza, è il frutto lungimirante della contrattazione ed è istituito per convogliare maggiori risorse nel futuro previdenziale del lavoratore.

Intervenire nuovamente sulla normativa che regola il secondo pilastro previdenziale è un errore gravissimo che avrà l’effetto di disincentivare l’adesione ai Fondi Pensione. La certezza e la stabilità delle regole sono elementi essenziali per il buon funzionamento di ogni sistema pensionistico e i continui interventi da parte del Governo ne minano non solo il funzionamento, ma alimentano i dubbi di chi ancora deve effettuare una scelta sul proprio futuro previdenziale.

Infine, così come concepito nell’articolo 15 del disegno di legge, un lavoratore dovrà comunque essere iscritto ad un fondo pensione negoziale per avere diritto al contributo datoriale, perciò sarà inevitabile che i lavoratori aderenti ai Fondi Negoziali divengano una sorta di terreno di caccia preferenziale per la rete di vendita delle forme private di previdenza complementare a scapito di nuove adesioni, generando una concorrenza distorta, in netta contraddizione con le intenzione del DdL sulla concorrenza, che inficerà il corretto funzionamento della previdenza complementare.

La Uil si sta attivamente impegnando affinché in fase Parlamentare l’articolo 15 venga stralciato dal DdL sulla concorrenza, e confidiamo che tale misura non verrà approvata dalle camere”.

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