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  • parte terza –

di Antonio Vargiu

 

I casi analizzati

Recentemente, soprattutto dopo il varo di norme di legge specifiche, si sono venute moltiplicando le esperienze di “lavoro agile”. Qui analizzeremo alcuni accordi, tra i più significativi sottoscritti nei settori del terziario.

I casi presi in considerazione sono sette, i settori coinvolti vanno dal commercio alla ristorazione, all’informatica e al terziario avanzato.

La maggioranza degli accordi sono stati sottoscritti prima dell’inizio della pandemia e, anche a seguito delle esperienze fatte, sono in continua evoluzione.

Caratteristiche generali

Innanzitutto notiamo una estrema prudenza (in questo siamo distanti dal “caso American Express”, prima citato).

C’è da chiarire subito che questo atteggiamento è proprio soprattutto della parte imprenditoriale, timorosa di una modifica sostanziale della “propria” organizzazione del lavoro.

“Sperimentazione” è la parola onnipresente in ogni accordo, così come la fissazione di date di scadenza di questo esperimento, spesso molto ravvicinate. Ovviamente queste date sono state spostate automaticamente dalla normativa emergenziale, che in pratica è stata interpretata come “mano libera” nell’organizzare il nuovo modo di lavorare.

Un’altra caratteristica degli accordi è stata quella di limitare, nel numero o nei settori, le adesioni volontarie dei lavoratori. Il blocco totale ha evidentemente cambiato le carte in tavola, ma i rinnovi tendono ad ampliare la potenziale platea degli “smart workers”.

C’è poi una citazione quasi ossessiva di alcune norme della legge sul “lavoro agile” (legge 81/2017), a partire dalla conferma del potere dispositivo e disciplinare del datore di lavoro.

Sempre in questa logica di controllo, in alcuni degli accordi analizzati compare la sottolineatura che il lavoro agile deve tenersi in una sede all’interno del territorio nazionale! E non si tratta di aziende “transfrontaliere”!

Solo in alcuni casi sono messi in evidenza alcuni obiettivi fondamentali di questo nuovo modo di lavorare, sottolineando cioè un lavoro più responsabilizzato e per obiettivi, rispetto al quale al lavoratore viene data più libertà di organizzarsi.

Modalità di accesso/recesso e di esecuzione della prestazione.

Per le modalità di accesso e di recesso sostanzialmente si fa riferimento alla legge e, quindi, si conferma il periodo di 30 gg lì previsto. Solo in un caso il termine, sempre a disposizione di tutte e due le parti, è ridotto a 7 gg. (Coop Alleanza 3.0).

Come abbiamo visto all’inizio, la partenza cauta della sperimentazione ha portato ad ammettere il lavoro all’esterno della sede aziendale per uno o due giorni alla settimana (fa eccezione a questo proposito Eataly, che prevede uno “smart working” del 70% del monte orario mensile!).

Ma abbiamo anche sottolineato che la pandemia ha fatto sì che i giorni lavorati all’esterno in molti casi si raddoppiassero.

Per il resto si notano grandi precauzioni rispetto alla prestazione: non vanno superati i limiti di orario previsti da leggi e contratti (8 ore giornaliere e 40 settimanali), l’orario in smart working deve inserirsi nelle fasce orarie previste per la sede aziendale; l’orario straordinario è quasi sempre vietato. In qualche caso sporadico può essere permesso, ma con la preventiva approvazione del proprio responsabile.

Gli strumenti di lavoro, il computer portatile e, qualche volta, anche il telefonino, sono forniti dall’azienda, ma la connessione è a carico del lavoratore. Sotto questa impostazione sembra aleggiare la convinzione, da parte datoriale, che sì l’azienda può avere un vantaggio con il lavoro fuori sede, ma anche i lavoratori lo hanno riducendo  le spese della propria “mobilità”. Da qui questa specie di equilibrio nella suddivisione dei costi del “lavoro agile”.

Tra le note positive sottolineiamo l’assicurazione del pieno diritto del lavoratore agile alla disconnessione al di fuori del proprio orario di lavoro, tematica questa molto importante, soprattutto dal punto di vista della conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro.

Inoltre, in alcuni degli accordi esaminati, viene affrontato il tema dei diritti sindacali, che devono essere “declinati” anche in modo specifico rispetto alla nuova organizzazione del lavoro.  A questo proposito possiamo citare quello recentemente sottoscritto con Coop Alleanza, che, oltre a confermare in pieno i diritti sindacali, da far usufruire anche con modalità telematiche, prevede anche con l’occasione di dar vita ad una bacheca sindacale elettronica.

 

 

Luoghi di lavoro, esercizio del potere disciplinare, attrezzature di lavoro, buoni pasto.

Quasi tutti questi argomenti li abbiamo già passati in rassegna.

L’unico elemento di novità è costituito dalla scelta del luogo da cui lavorare, importante responsabilità tutta a carico del lavoratore sia dal punto di vista della sicurezza del luogo prescelto sia della riservatezza della connessione e dei dati.

Per quanto riguarda i buoni pasto la maggioranza degli accordi ribadisce la validità di quanto inserito all’interno dei rispettivi integrativi aziendali.

          

Privacy e riservatezza, salute e sicurezza, formazione e informazione, diritti sindacali.

Anche qui vale il discorso fatto prima: gli accordi seguono fedelmente quanto previsto dalle norme di legge.

Vogliamo però citare due accordi, che prevedono un forte impegno formativo “preventivo” rispetto a tutte le problematiche riguardanti il “lavoro agile”.

Parliamo dell’accordo Italian Exibition Group e Novomatic, che predispone on line un corso da fare entro 15 gg. dall’accettazione della domanda di smart working effettuata dal lavoratore.

Infine è l’accordo Coop Alleanza 3.0  a riservare una particolare attenzione ai diritti sindacali e al modo in cui possono essere esercitati, nello specifico, dai “lavoratori agili”. A questo proposito citiamo la parificazione alla presenza in persona della partecipazione alle assemblee fatta attraverso piattaforme digitali e l’impegno a dar vita a una bacheca sindacale elettronica.

Alcune considerazioni finali.

La prima domanda che siamo portati a farci è quella relativa alla differenza -in pratica- tra “lavoro a casa” (o telelavoro) e “lavoro agile”.

Innanzitutto telelavoro significava, in pratica, lavorare da casa. Il fatto, però, che il lavoro si dovesse svolgere tra le proprie mura domestiche poneva direttamente in capo al datore di lavoro tutte le responsabilità relative, ad esempio, all’ambiente e sicurezza, all’ergonomia della postazione di lavoro ecc.

Con il lavoro agile lo scenario cambia: più libertà di scelta del “luogo di lavoro” -a cui non sempre corrisponde una libertà di organizzare i contenuti del proprio lavoro-, meno responsabilità del datore di lavoro, che deve principalmente fornire informazione e formazione adeguata allo smart worker (con ovvi risparmi di costi, oltre che con meno responsabilità diretta).

Bisogna, inoltre, distinguere due fasi nell’utilizzo del “lavoro agile”. Infatti, prima della pandemia c’era molta più libertà di movimento e si stavano moltiplicando i luoghi di “co-working” attrezzati per il lavoro informatico e telematico e, comunque, alternativi al lavoro domestico.

La fase seguente, segnata come abbiamo visto, da una massiccia diffusione della nuova modalità di lavoro, fa registrare anche un forte ritorno al lavoro entro le  mura domestiche.

Sicuramente la fine della fase emergenziale farà da filtro e rimarranno solo le realtà che hanno necessità o sceglieranno a ragion veduta di adottare la nuova modalità di lavoro.

Spetta quindi alle organizzazioni sindacali un compito importante, che avrà un forte impatto anche sul futuro: quello, cioè, di inserire tutte le tipologie di contratto e tutte le modalità di lavoro presenti in azienda in una visione complessiva, che ne valorizzi tutti gli aspetti e sia funzionale ad una crescita umana e professionale di tutti i lavoratori.

Anche se nel passaggio che andiamo a citare viene colto solo un aspetto di questa nuova realtà lavorativa, non si può non essere d’accordo con Tito Boeri, quando afferma:” Lo smart working sta diventando un potentissimo strumento in mano al sindacato per organizzarsi e per raggiungere i lavoratori.

Ora che se ne è, giocoforza, impossessato, ha capito che in questo modo si possono convocare riunioni molto più rapidamente, permettendo a molte più persone di esprimersi. Costa meno fare il sindacato sul web e si può anche farlo meglio consultando più spesso i lavoratori cui si vuole attribuire una voce collettiva. E’ anche questo, dopotutto, un modo per il sindacato di tornare sui luoghi di lavoro… “ (1).

  • Tito Boeri, Il fragile operaio digitale, La Repubblica, 1° maggio 2020.

 

 

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