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DALLA IX CONFERENZA NAZIONALE DI ORGANIZZAZIONE DELLA UIL INTERVISTA ESCLUSIVA AL SEGRETARIO GENERALE DELLA CES (Confederazione europea dei sindacati), LUCA VISENTINI.

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Caro Luca, permettimi innanzitutto di fare una premessa a questa nostra conversazione: a differenza dei “soliti” interventi di dirigenti sindacali internazionali, il tuo è stato molto seguito ed apprezzato sia dai delegati che dai segretari generali di Cgil, Cisl e UIL, e non è stato solo per la lingua.
Parliamo dei temi che hai affrontato e da questa considerazione: nelle organizzazioni sindacali è ormai diffusa una grande sensibilità rispetto ad una politica economica che attualmente non è in grado di far uscire l’Europa da una pesante e lunga fase di stagnazione, originata quasi otto anni fa dalla crisi finanziaria americana.
Nel tuo intervento hai sottolineato la necessità che l’Unione Europea metta in atto politiche economiche più espansive per uscire dal circolo vizioso in cui rischiamo di avvitarci.

“Innanzitutto desidero ringraziare te e tutti i militanti della Uil, organizzazione nella quale ho avuto la soddisfazione di militare per tanti anni, dell’accoglienza veramente calorosa.
In effetti questi mesi sono fondamentali per capire se, dopo la Brexit, l’UE sarà capace di vincere le sfide che ha di fronte a sé. Se sarà finalmente capace di abbandonare le politiche di austerità – che hanno sonoramente fallito – e di mettere in campo interventi significativi a favore della crescita, dell’occupazione e della solidarietà sociale.
In questo senso il sindacato europeo ribadisce il proprio impegno in prima linea nel far cambiare la rotta e si batte per promuovere le sue proposte di cambiamento. Il rilancio degli investimenti é fondamentale. Senza di essi, non si puo’ chiudere il doloroso capitolo della crisi economica e creare nuova occupazione di qualità.
Gli investimenti devono prendere il posto della pura disciplina di bilancio e dei tagli. Il rilancio della nostra economia passa al contrario da maggiori investimenti pubblici destinati a importanti progetti europei per le infrastrutture, l’innovazione, la ricerca, la formazione, migliori e più efficienti servizi sociali, la transizione verso l’economia digitale e un’industria più “verde” e al passo con i tempi”.

Ma tutto questo, secondo il pensiero economico liberista dominante, dovrebbe essere ottenuto da una ripresa “spontanea” del mercato.

“E’ un pensiero profondamente sbagliato.
Questi obiettivi di lungo termine non potranno essere raggiunti solo con investimenti privati.
Per ottenere questo essenziale risultato è tempo di invertire la retorica anti-pubblica che è stata alla base dell’ideologia neoliberista e turbo-capitalista che ha distrutto i fondamenti della nostra economia sociale di mercato, dopo aver spazzato via la potenza industriale dell’Europa con una globalizzazione non governata.
Questo é un punto che la Confederazione europea dei sindacati ribadisce da lunga data. La creazione di posti di lavoro duraturi e la crescita dell’economia su basi solide puo’ avvenire solo grazie ad un cospicuo investimento pubblico su scala europea”.
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In caso contrario saremmo costretti a subire una situazione in cui la concorrenza si fa soprattutto “giocando”sull’abbassamento del costo del lavoro e dei salari.

“E’ un dato di fatto che l’economia europea, per più di due terzi, si basa sulla domanda interna. Per questa ragione riteniamo che in tutti i paesi dell’UE i salari debbano aumentare. Salari che da anni sono in ritardo rispetto agli incrementi della produttività. Persino in paesi come l’Italia, con basse dinamiche di crescita della produttività, i salari sono rimasti indietro. E questo ha creato una depressione del mercato interno, con conseguenze negative sulla crescita e sulla sostenibilità del debito e dei sistemi di welfare.
Un aumento salariale su larga scala gioverebbe all’economia europea, contribuendo al tempo stesso a rafforzare la giustizia sociale e a ridurre le iniquità, che hanno un costo enorme in termini di spesa pubblica.
Accanto ad un aumento salariale che allinei le dinamiche dei redditi alla produttività, si rende necessario anche un ulteriore percorso di convergenza verso l’alto, che consenta di ridurre il divario di retribuzione che tuttora persiste tra i paesi orientali ed occidentali dell’Unione, combattendo di fatto il dumping sociale e riducendo gli squilibri macroeconomici”.

 

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In aggiunta ai problemi interni la Ue si trova oggi ad affrontare la “crisi degli immigrati”, che rischia di essere una miccia che scatena “guerre tra poveri”.

Questo ci fa capire due cose. Che l’Europa deve completamente modificare il proprio approccio rispetto alla mobilità interna e all’immigrazione, inclusa quella dei rifugiati, adottando una politica di responsabilità e solidarietà basata su integrazione e parità di trattamento.
L’approccio unicamente “securitario” che l’Europa sta perseguendo per far fronte alla sfida dei migranti è inaccettabile, ma anche controproducente. Non solo non possiamo accettare che il controllo dei confini sia considerato prioritario rispetto al dovere umano e morale di salvare vite umane, accogliere e riallocare le persone che hanno bisogno e difficoltà ed integrarle nella società e nel mercato del lavoro; ma vediamo anche chiaramente che questa strategia non aiuta a far calare la tensione o a far prevalere le forze democratiche su quelle razziste.
È necessario costruire una nuova narrativa, capace di fornire risposte e opportunità positive ed eque a tutti, cittadini europei, lavoratori in mobilità, immigrati e rifugiati.
L’altra lezione che dobbiamo ricavare da questi esiti elettorali è che finchè non si esce dalla crisi e non si offrono opportunità migliori di lavoro e di protezione sociale a tutti, le forze xenofobe e populiste continueranno a prosperare”.

In passato abbiamo parlato di modello sociale europeo, anche in contrapposizione a quello liberista di marca Usa. Quell’impostazione è ancora valida?

“Assolutamente sì.
Il modello sociale europeo, la nostra economia sociale di mercato, i valori della pace della prosperità diffusa e della giustizia sociale: questi sono le radici del progetto europeo, non un semplice somma di trattati commerciali, ma una idea di futuro migliore.
È per questi valori messi in pratica in decenni di conquiste, che il mondo ancora invidia l’Europa come il posto migliore dove vivere.
I paesi europei dove la qualità della vita è più alta e l’economia va meglio non sono quelli che hanno smantellato il modello sociale, bensì quelli dove più forti sono il welfare, il dialogo sociale, le relazioni industriali”.

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Nel tuo intervento hai parlato di iniziative di mobilitazione della Ces e dei sindacati europei sulla piattaforma di cui ci hai delineato i contenuti. Di cosa si tratterà?

“Certamente abbiamo una piattaforma precisa, che è la base con cui ci stiamo confrontando e continueremo a farlo con le istituzioni della Ue, sottolineando la necessità di affrontare congiuntamente le questioni economiche e sociali.
In più siamo naturalmente consapevoli del fatto che bisogna mobilitare i lavoratori dell’Unione, con una informazione capillare e con iniziative di pressione anche sui singoli governi.
Il tutto dovrebbe culminare con una grande manifestazione, da tenersi il prossimo anno in occasione dei 60 anni dalla sottoscrizione del Trattato di Roma, che istituì la Comunità economica europea (25 marzo 1957).
Proprio per sottolineare il ritorno allo spirito originario che ha dato vita alla Comunità, la mia proposta è che la manifestazione si tenga a Roma!”

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