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Una conversazione con Giorgio Benvenuto 2^ parte

In un tuo recente articolo sottolinei la necessità che il sindacato proceda ad un suo profondo rinnovamento: quello che tu proponi è solo generazionale od anche di strutture e di metodi?

“Il cambiamento deve raggiungere un obiettivo, quello di avvicinare sempre più sindacato e lavoratori, superando gli attuali fattori di crisi.
Correggere questi fattori significa ricostruire il rapporto con i lavoratori; saper rifondare un sindacato che non sia solo degli iscritti, degli associati, peggio ancora dei consociati, tanto meno dei dirigenti o degli apparati, ma sia tendenzialmente un sindacato aperto e dialettico.
Per questo deve impegnarsi a correggere gli elementi negativi presenti nella società e nelle istituzioni”.

Se ben capisco, il sindacato si trasforma impegnandosi in prima linea per il cambiamento.

“Certamente. Correggere i fattori di crisi significa capire che l’efficienza dei servizi e delle istituzioni è un valore di fondo della democrazia, non è un optional che può esserci o non esserci. Significa capire che la Seconda Repubblica potrà anche essere diversa ma non sarà migliore di quella che l’ha preceduta se non risolverà problemi strutturali come quello dell’equità fiscale, dell’occupazione, della vivibilità, ma anche dell’ammodernamento delle aree urbane, dei modelli di sviluppo territoriale.
Tutto questo richiederà un impegno duro dei sindacati: un impegno di autocorrezione ma anche di dibattito, di studio, di ascolto. E richiederà nuovi strumenti di organizzazione, di selezione dei gruppi dirigenti, di confronto e di presenza.

Quindi il sindacato è ancora necessario, sia per portare avanti le istanze dei lavoratori, ma anche per far progredire la società in cui opera.

“Ma servono due cose, che sembrano oggi quasi impossibili a realizzarsi: cambiamento ed unità. Il sindacato, da una parte, deve essere capace di ritornare a stare dalla parte dei deboli e dei più poveri, senza dimenticare le esigenze di chi povero non è e neppure vorrebbe diventarlo. Deve muoversi nella società di oggi e nel mercato che ne fa parte, sapendo che le sue rapide mutazioni lasciano delle vittime e che, quindi, è necessario combattere le sue spietate pratiche darwiniane.

Dall’altra il sindacato deve ridefinire il suo ruolo, reinventare uno scenario ed una immagine coerente con la società postindustriale: non trascurare la catena di montaggio, laddove esista ancora, ma tenere conto della grande valenza del terziario e della sua gamma di servizi (da quelli finanziari, per le imprese, per le persone…).
Per far questo ciascuno deve rinunciare a vecchie parole d’ordine, a vecchi slogan. Bene le nuove regole sulla rappresentanza, ma sono solo una tappa. Altrimenti qualcuno potrebbe dire che le tre confederazioni sindacali sanno fare accordi solo per contarsi. E’ necessario avvicinare le diverse strategie per affrontare i cambiamenti sociali in atto: solo così –in una unità dinamica e che affronta i problemi- il sindacato potrà essere di nuovo importante interlocutore sia della società che delle istituzioni”.

Infine il “jobs act”: un tuo primo giudizio.

“Innanzitutto c’è un giudizio negativo sul metodo. La prassi era sempre stata quella di scrivere i decreti attuativi dopo aver sentito il parere delle commissioni parlamentari competenti. Questa volta i pareri –come sottolineato dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini- sono stati totalmente ignorati.
Sui contenuti il punto più critico è rappresentato dalla questione dei licenziamenti collettivi. Certamente negativo è il tentativo di limitare fortemente il ruolo delle parti sociali per dare, invece, troppa mano libera al singolo imprenditore. Il rischio, come si diceva prima, è quello di accentuare gli antagonismi e le ribellioni.
C’è un eguale interesse sia dei lavoratori che degli imprenditori: l’azienda deve essere competitiva e deve valorizzare la professionalità delle persone. L’impresa – lo ribadisco – è un bene comune dell’imprenditore e dei lavoratori”.

Sui nuovi occupati si fanno tante cifre. Renzi dice che, abolendo i contratti a progetto, si creeranno 200 mila posti di lavoro a tempo indeterminato.

“Purtroppo queste previsioni, così come sono state fatte, non hanno nessun fondamento scientifico. Nel nostro paese troppo spesso si danno i numeri senza spiegarli!”.

Ma il “jobs act” è anche un grande contenitore.

“E’ un contenitore ancora semivuoto. Ecco perché occorre attendere altri decreti delegati. Devono affrontare, per fare alcuni esempi, temi come le politiche attive del lavoro o le cure parentali o la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. La speranza è che l’Italia diventi un paese più avanzato anche sotto questi aspetti, importanti dal punto di vista sociale.
Il “jobs act” con l’approvazione dei decreti delegati è un vulnus; la reazione deve però essere pragmatica e non ideologica.
I sindacati confederali devono convincere il Governo a considerarla sperimentale. Occorrerà fare il punto a fine anno per verificarne l’impatto e per determinare i necessari cambiamenti, gli adattamenti e le differenziazioni anche a livello decentrato. Insomma il sindacato deve accettare la sfida del cambiamento costruendo proprie proposte. Unitarie, intendo”.

ULTIMA ORA

Abbiamo appreso, alla vigilia dell’uscita di questo numero, che Giorgio Benvenuto è stato nominato presidente della Fondazione Nenni.

A Giorgio inviamo le nostre congratulazioni, insieme con gli auguri per questo nuovo impegnativo incarico!

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