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Oggi parliamo di Carmen Yáñez, poetessa cilena di 60 anni, di cui è uscito recentemente una raccolta di poesie intitolata Latitudine dei sogni (Quaderni della Fenice, Guanda editore).
Così la racconta Gianni Minà nel suo sito (www.giannimina.it):
“Carmen Yáñez è una donna piccola, minuta, di una bellezza allegra, non sfiorita, ma i suoi versi di poetessa sono poderosi, impastati di pane e sangue, pur essendo spesso ispirati dal quotidiano e da una immaginazione surrealista. Carmen Yanez, cilena, carcerata e torturata quando era appena una giovane madre ventenne dagli sgherri di Pinochet nella famigerata villa Grimaldi di Santiago del Cile, ha incontrato la poesia come balsamo alle ferite del destino in Svezia, dove era riparata per sfuggire l’orrore e ritrovare l’equilibrio dello spirito”.
Di Carmen, sposa e compagna di ideali di Luis Sepúlveda, citiamo due poesie, che ci danno la misura della bellezza e della capacità di suggestione dei suoi versi. La prima è quella che dà il titolo alla raccolta, recentemente pubblicata (Quaderni della Fenice, Guanda editore, 2013, la traduzione è di Roberta Bovaia).

LATITUDINE DEI SOGNI

Una se ne sta tranquilla
in un alberghetto di Saint-Maló
la costa smeraldo di antichi corsari
davanti al mare, insomma, esposta.
E di colpo batte il Pacifico splendido
la brezza alimentata di eucalipti
sulla riva di un ricordo indelebile
dove albergò la piccola felicità
che regge le vertebre della vita.
Dove si conserva il mare che ci apparterrà per sempre?
In quale organo si occulta dopo tanti viaggi?
In quale viscera ulula la bestia dei ricordi?
L’infanzia che sgorga tra le onde
dalla finestra di un esilio che incessantemente ci avvolge
con le sue piccole mani ora.
Sassolini che raccoglievo con tutto quello che trovavo
nelle piccole tasche rotte.
Una se ne sta tranquilla
a camminare sulla sabbia,
ma le scarpe rallentano col loro peso.
Tanta vita camminata!
Anche se i piedi vogliono staccarsi da terra
confondersi con il blu.
E in fondo uno sa
che tutto è illusione
il qui e il là nel corpo.
L’unica verità è il dolore,
il taglio fastidioso
che ha fatto il filo di un ciottolo nella scarpa sinistra,
il tallone ferito che impedisce talora di avanzare
che va e viene
come l’onda che morde
malgrado la sua bellezza implacabile.

La seconda è tratta da Terra delle mele (Guanda editore, 2006, traduzione di Roberta Bovaia) e parla della sua terribile esperienza in mano alla polizia di Pinochet..

CENOTAFIO
Erano giovani i morti della mia generazione.
Ridevano, colmavano gli spazi,
bruciavano le loro candele,
nemmeno ci pensavano alla morte.
Nel ventre, il seme
nelle volontà, un’utopia.
Nell’ora dell’insolente daga
li sorprese l’odio negli occhi della bestia
Erano giovani i morti.
Poi se ne andarono chissà dove
con tutti i loro semini.
La verità è che mi restano solo
le loro risate quando accendevano le torce
per illuminare i sentieri.
E alla fine: un pozzo profondo d’oblio
un calcestruzzo di farisei
un altro foglio negli scaffali della storia
Loro perseverarono.
Tenaci nella loro morte senza resa
irrompendo per sempre nella memoria.

Infine, riporto qui alcuni miei versi scritti poco dopo il colpo di stato fascista in Cile, dedicati a tutte le vittime della tortura.

Notte di tortura
Ci sono ancora lune d’argento
nella notte, afa di bestie,
della tortura?
 Neri sono gli stivali,
nero l’urlo della mia paura.
Questi secondi di orologi impazziti
il silenzio.
Che io sia pietra
come queste mura,
porta che si apra dolcemente.
Nasceranno ancora lune d’argento
dopo la notte, afa di bestie,
della tortura?

Fortunatamente la risposta a quell’angoscioso interrogativo, che tutta la mia generazione di ispirazione democratica e socialista si poneva allora, è che sì, da quei terribili sacrifici è stato possibile rialzarsi e farne alimento per la rinascita della democrazia e della volontà di continuare a lottare contro tutti i soprusi e le ingiustizie sociali.

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