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Avevamo fatto la conoscenza della prof.ssa Mancini la scorsa primavera quando, in occasione del Congresso Uiltucs di Latina, la nostra organizzazione aveva dato la parola direttamente ai protagonisti dell’esperienza di alternanza portata avanti dall’istituto San Benedetto.

Gli studenti avevano partecipato con entusiasmo e i professori avevano spiegato come il mix di studio e lavoro fosse diventato un elemento essenziale della propria impostazione didattica (vedi gli articoli dedicati a questo evento nel numero 41 di maggio-giugno u.s.).

Abbiamo adesso sentito l’esigenza di riparlare con lei dell’alternanza scuola-lavoro, anche alla luce delle ultime decisioni del governo.

 

Cara Giovanna, come forze sociali abbiamo la sensazione che in questa, come in altre materie, si ricominci sempre da capo: ogni governo che arriva vuole solo fare “cose nuove” senza tenere conto delle esperienze positive fatte in precedenza.

 

“Questo atteggiamento è profondamente sbagliato. Nel corso dei decenni la scuola italiana sembrava aver capito che la logica del modello del centralismo ministeriale andasse superata a favore di una maggiore adesione alla realtà sociale.

Del resto già immediatamente dopo l’unità d’Italia, dalle “Istruzioni“del pedagogista Aristide Gabelli (1), leggiamo  che la scuola deve essere «accomodata al tempo», deve cioè comprenderne lo spirito e appagarne i bisogni in vista dell’utilità sociale, alla quale si lega quella dei singoli. Deve essere cioè, vicina alla vita”.

Sembra però che anche in questa occasione si continui a seguire la strada delle “disposizioni ministeriali” del tutto centralistiche.

Purtroppo sì. Eppure per tornare alla citazione di Gabelli, il metodo deve essere pratico, induttivo, basato sull’osservazione e sull’esperienza, in grado di sottrarre gli individui ad ogni dogmatismo.

 

E’ questa la premessa per un nuovo modo di “fare scuola”?

Certamente il modello deve essere fondato sull’ “autonomia” nella costruzione del curriculum. Il concetto è  quello della “scuola-servizio” centrato sulla singola realtà scolastica (decentramento), finalizzata al «successo formativo» degli allievi.

 

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Da questo punto di vista ci sembra fondamentale –nei vostri indirizzi formativi- il rapporto con il mondo del lavoro.

Assolutamente: le scuole hanno il dovere di modulare la formazione, di facilitare il matching tra le esigenze dell’offerta e della domanda, di promuovere lo sviluppo di competenze trasversali e di orientamento ai processi successivi. E’una delle sfide che si accompagna a quella di formare cittadini consapevoli.

Legare la visione del “dopo possibile” unicamente ai fili di una verifica di chimica  o matematica, oggi non è più sufficiente. Il mondo del lavoro è soggetto a variabili di indeterminatezza, inimmaginabili fino a qualche lustro fa: abbiamo nuove professioni, nuove regole di contrattualizzazione, assistiamo ad una delocalizzazione di manodopera e di mezzi di produzione, a richieste di specifiche via via sempre più complesse. Sapersi orientare diventa fattore determinante per la collocazione lavorativa.

Il vostro impegno c’è stato e l’abbiamo visto.

Sì, abbiamo formato tutors, si sono stabilite o consolidate relazioni con il territorio, si sono superate difficoltà di valutazione in ambiente informale/non formale, si sono motivati gli allievi, si sono dedicate ore a pianificare, realizzare e monitorare le attività di alternanza scuola lavoro per poi rendicontarle al Ministero. Che di sicuro, a questo punto, non avrà acquisito in maniera critica quei dati!

 

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Torniamo, quindi, alle nostre valutazioni iniziali: cosa sta succedendo e come valuti le recenti scelte del governo?

Questa situazione la stiamo vivendo male. Già dobbiamo far fronte a difficoltà oggettive e soggettive: siamo immersi in una società estremamente complessa e fortemente compromessa nei valori. Questo è avvertito anche nella scuola ed in particolare dagli allievi a cui non riusciamo a dare continuità nelle indicazioni .

Inoltre, per rimanere sul terreno strettamente scolastico, da ben due anni li stiamo “minacciando” con il contributo di alternanza per gli esami di Stato e da altrettanti ci vediamo costretti ad informarli dell’anno di deroga.

In ogni caso è impensabile un ritorno al passato. La modifica è culturale! E’ sicuramente perfettibile la formazione in alternanza, ma non è possibile cancellarla con un colpo di decreto ministeriale”.

 

 

  • Aristide Gabelli, provveditore a Firenze e Roma, poi deputato, già ai suoi tempi aveva redatto “il Metodo di insegnamento nelle scuole elementari d’Italia (1880)”, poi le “Istruzioni per i Programmi” (1888), che avevano recepito il nuovo fermento positivistico teso a cogliere le trasformazioni della realtà sociale e il contributo dell’intelligenza umana volto a «far bene le teste più che riempirle».

 

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