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di Antonio Vargiu.

Purtroppo ad oggi non è possibile una risposta chiara, in quanto tutto è legato all’andamento della pandemie e delle nuove varianti covid.

Per quanto riguarda il lavoro pubblico il segnale dato dal ministro Brunetta è molto semplice: si torna tutti al lavoro nelle sedi pubbliche tradizionali. Questo, se da un lato, ha una sua giustificazione, considerando la necessità di presidiare, al di là dell’utilizzo crescente di internet per svolgere molte pratiche amministrative, le sedi aperte al pubblico, dall’altro è un po’ troppo “minimalista” perché considera il lavoro agile solo come un’eccezione e non anche un’opportunità.

Le cose sono parzialmente cambiate grazie all’apertura di un tavolo di confronto e di contrattazione con i sindacati del pubblico impiego, che ha definito le modalità di utilizzo del lavoro agile nei vari settori. In ogni caso per il ministro non si potrà superare il 50% dei lavoratori in smart working.

Anche per il settore privato le cose, pur muovendosi, continuano ad essere legate all’andamento della pandemia.

Ricordiamo che, ad oggi, le regole dell’emergenza danno la facoltà al datore di lavoro di imporre ai propri lavoratori di operare fuori dalla sede aziendale con una organizzazione del lavoro stabilita solo da lui. Questo purtroppo sta valendo anche per la maggior parte delle aziende, dove, prima del covid, erano stati raggiunti tra le parti accordi per applicare la legge sul “lavoro agile”.

Nel frattempo però –come dicevamo- le cose si stanno muovendo.

Da questo punto di vista è assai significativo il recente varo di un Protocollo sul lavoro agile sottoscritto il 7 dicembre u.s. dal ministero del lavoro, dalla stragrande maggioranza delle associazioni imprenditoriali e dalle confederazioni sindacali Cgil Cisl e Uil (ma anche purtroppo da altre organizzazioni sindacali scarsamente rappresentative nel settore privato).

Riteniamo comunque utile, anche in vista dei futuri sviluppi, riproporvi i dati dell’utilizzo del lavoro fuori dalle sedi aziendali, prima durante e nella fase dell’attenuazione della pandemia da covid .

Successivamente –nei prossimi numeri- analizzeremo i contenuti del Protocollo, che ci sembra molto importante in quanto fornisce un quadro di riferimento per la contrattazione a livello nazionale ed aziendale.

I dati dell’utilizzo del “lavoro agile”

Nei due articoli pubblicati in questo numero ne riportiamo i dati, aggiungendo gli aggiornamenti che arrivano alla fine di ottobre e le previsioni per il prossimo futuro.  Come al solito la fonte, assolutamente autorevole, è l’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano.

 

Il “lavoro agile” prima dell’emergenza Covid.

Sono i dati di partenza che consentono di valutare il cambiamento nella organizzazione di lavoro delle imprese.

Nel 2019 lo “smart working” coinvolgeva circa 570 mila lavoratori, il 20% in più rispetto all’anno precedente.

In prevalenza erano le grandi imprese ad adottare questa nuova modalità di lavoro (58%), mentre era bassa l’adesione sia nelle piccole e medie imprese (12%) che nella pubblica amministrazione (16%).

Il lavoro da remoto era in media 1 giorno alla settimana e normalmente coinvolgeva attività di lavoro individuale.

                  

2020: prima fase dell’emergenza.

In questa fase le cifre sono “volate alle stelle”: il totale ha raggiunto i 6 milioni e 800 mila lavoratori, coinvolgendo il 97% delle grandi imprese, il 58% delle piccole e medie imprese e il 94% della pubblica amministrazione. Il tempo di lavoro da remoto ha superato, mediamente, il 50% di quello contrattuale.

Il maggior numero di smart worker lavora nelle grandi imprese, 2,11 milioni, 1,13 milioni nelle PMI, 1,5 milioni nelle microimprese sotto i dieci addetti e infine 1,85 milioni di lavoratori agili nelle PA. L’esperienza vissuta nella pandemia, seppure forzata e emergenziale, ha dimostrato:

  • come un modo diverso di lavorare sia possibile anche per figure professionali prima ritenute incompatibili;
  • l’impreparazione tecnologica di molte organizzazioni.

Più di due grandi imprese su tre hanno dovuto aumentare la dotazione di pc portatili e altri strumenti hardware (69%) e di strumenti per poter accedere da remoto agli applicativi aziendali (65%); tre PA su quattro hanno incoraggiato i dipendenti a usare i dispositivi personali; il 50% delle PMI non ha potuto operare da remoto. A livello organizzativo, invece, è stato difficile mantenere un equilibrio fra lavoro e vita privata per il 58% delle grandi aziende e il 28% dei lavoratori, e per il 33% delle organizzazioni i manager non erano preparati a gestire il lavoro da remoto.

Nonostante le difficoltà, questo smart working atipico ha contribuito a migliorare le competenze digitali dei dipendenti (per il 71% delle grandi imprese e il 53% delle PA), a ripensare i processi aziendali (59% e 42%) e ad abbattere barriere e pregiudizi sul lavoro agile (65% delle grandi imprese), segnando una svolta irreversibile nell’organizzazione del lavoro.

 

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