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di Antonio Vargiu

Ecco due “foto-simbolo” di questo e di altri recenti Natali, tormentati e pieni di notizie luttuose e preoccupanti.

Non casualmente sono due ritratti di papa Francesco, che si assume il peso di rappresentare il dramma della vita dell’uomo, esposto alle insidie mortali della natura ma che, nello stesso tempo, non cessa di dare la morte ai suoi simili.

Una foto -quella del Natale 2020- descriveva la solitudine e l’impotenza nella pandemia da covid allora imperante: aliena e trionfante, mentre l’uomo non era in grado di opporre nessuna barriera al contagio inarrestabile.

L’altra -recentissima- ci parla del pianto del pontefice nel prendere atto che le suppliche a Dio per far cessare la guerra in Ucraina e le infinite sofferenze connesse non hanno dato finora nessun frutto.

Come leggere allora questa situazione di fronte ad un avvenimento che ogni anno ricordiamo, appunto quello della scelta di un Dio che si fa uomo e che viene a portare, quindi, speranza e gioia per tutti i popoli della terra?

L’impotenza di Dio.

Una contraddizione in termine: il creatore non interviene direttamente a riportare l’uomo sulla “retta via”, cancellandogli nella mente e nel cuore l’istinto alla violenza.

Violenza sia contro i suoi simili che contro il creato, che provoca il “disordine” di cui parla la Bibbia riferendosi ai tempi di Noè e del prima del “diluvio universale”. E il creato reagisce e si ribella contro l’uomo. Da qui il riscaldamento globale con i suoi danni e l’uscita dalle proprie “nicchie biologiche” di virus e batteri mortali.

Ma Dio sceglie di non intervenire per non trasformare l’uomo in un robot, in un essere senza volontà.

I peccati dell’uomo

Sono tanti, ma troppo spesso li riduciamo a un problema individuale, mentre quelli collettivi non li consideriamo e ci “scivolano” via.

Un esempio di peccato collettivo: l’assuefazione e accettazione della guerra tra gli uomini come un qualcosa di inevitabile e, quindi, di sostanzialmente accettabile.

 

L’Ucraina

Parliamo dell’Ucraina e di noi “occidentali”, che comunque abbiamo ancora la possibilità di esprimere pubblicamente la nostra opinione (quante scemenze abbiamo sentito su presunte “dittature sanitarie” durante la pandemia!).

Che abbiamo detto e fatto a proposito degli accordi di Minsk (1), un tentativo internazionale di far sedere i contendenti intorno a un tavolo per trovare un accordo senza il ricorso alle armi?

Che abbiamo fatto negli otto anni di guerra nel Donbass e dintorni, abbiamo forse solo foraggiato chi era alla ricerca di rivincite armate?

E che dire, per la parte occidentale, la corsa a piantare “bandierine Nato” ai confini della ex unione Sovietica, sapendo che ogni base Nato potenzialmente era in grado di ospitare missili a lunga gittata forniti di testate nucleari?

Ci fermeremo prima dell’abisso, di un confronto senza più confini tra stati armati di bombe nucleari?

O dobbiamo forse parlare del sistema militare industriale, egemonizzato nell’occidente dagli Stati Uniti, lobby tra le più potenti e durature nel tempo, responsabile di un gigantesco spostamento di risorse da obiettivi di sviluppo compatibile e non diseguale a prodotti di morte che dobbiamo pregare rimangano inutilizzati?

E l’Italia? Il nuovo governo ha attribuito il ministero della difesa ad un ex rappresentante della confindustria delle armi, tendenzialmente portato ad incrementare la relativa produzione. E infatti già si annuncia la progettazione e la produzione di un “super-super” aereo italo-anglo-giapponese, di cui si ha ancora pudore di tacere quanti miliardi di euro (o sterline o yen) costerà prima a chi lo produce e poi a chi lo compra. E il più o meno trionfale annuncio che l’Italia giungerà ad impiegare il 2% del proprio Pil per spese militari quanti poveri o malati senza cure adeguate farà morire nel nostro paese?

Tutto questo- come denunciato da papa Francesco- costituisce il quadro della follia che ha ormai contagiato tutti i paesi del mondo.

E di fronte alle carni lacerate e vilipese degli ucraini, non resta che il pianto, pur anch’esso impotente, ma che denuncia e testimonia un dolore immenso che non può essere lenito, se non con una tregua premessa/promessa di una futura riconciliazione.

 

L’attesa, tra tempeste annunciate e speranze.

Un’attesa, oggi (come spesso), in mezzo alla bufera, mentre un solco di odio, residuo tossico della stagione del covid,, trainato dai social media, sta avvelenando i rapporti sociali.

L’Emanuele (= dio con noi )(2): oltre il “pessimismo cosmico”.

“E Dio creò l’uomo, maschio e femmina li creò, e vide che era una cosa buona (3)”.

La fede nella capacità dell’uomo di custodire e governare la natura senza violentarla è una fede che dovrebbe accumunare laici e credenti ed è il discrimine tra chi accetta aprioristicamente che tutto vada a rotoli e chi invece –anche nel suo piccolo- si impegna a realizzare il destino dell’umanità, quello di liberarsi, di emanciparsi dalla carica di violenza presente nella sua natura.

Ma questo non sarà comunque possibile senza una seria riflessione sulle nostre colpe.

Sentiamo quindi il bisogno di ascoltare una persona che ci indichi di nuovo la giusta strada, di una stella che guidi i nostri passi.

Torna allora l’attesa dell’Emanuele.

Più di 2000 anni fa tutto un popolo, Israele, aspettava l’”unto del signore” (il messia) per essere riscattato dai suoi mali che, poi, sono quelli che ci affliggono ancora oggi.

Perché colui che ha fatto il cielo e la terra

“… rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri,

il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,

il Signore protegge i forestieri,
egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi…(dal salmo 145)”.

 

Chi è il salvatore.

Ma chi è questa persona? E’ un uomo potente, un uomo ricco, un capo di stato o alla guida di formidabili armate per ammutolire ogni oppositore?

No, è il dio creatore che si è incarnato nella nostra umanità, in una famiglia non altolocata nè privilegiata, di nobili ma decadute origini e questo per tanti è sempre stato oggetto di scandalo.

Rileggiamo, a questo proposito il vangelo di Luca, di sconvolgente attualità:

“…Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo…( Luca 2, 1-7)”.

Il presepe di oggi.

Nel mondo.

Ancora e dappertutto, risuona il grido di dolore di bambini innocenti uccisi nelle numerose guerre che insanguinano il nostro mondo o sfruttati o trattati come schiavi in condizioni disumane, per la guerra per il lavoro o per il sesso.

Purtroppo è sempre attuale il ricordo della strage, avvenuta tanti anni fa per mano di Erode. Tragicamente si adempì quanto detto per bocca del profeta Geremia:

Un grido è stato udito in Rama;

un pianto e un lamento grande:

Rachele piange i suoi figli

e non vuole essere consolata,

perché non sono più (Mt 2, 16-18)”.

                  

Ma vittime di violenze e sopraffazione continuano ad essere anche le donne, troppo spesso violentate ed umiliate, anche se sono e continueranno ad essere la spina dorsale della nostra vita sociale.

In Italia

Riproponiamo, anche per quest’anno, una delle immagini già scelte per il nostro presepe del Natale 2018: una donna con bambino cacciata dal Cara di Crotone e buttata sulla strada dopo l’abolizione dei visti umanitari da parte del decreto “sicurezza” dell’allora ministro dell’interno Salvini.

“E’ finita la pacchia” lo slogan che andava per la maggiore tra le forze politiche: la “cacciata” dei poveri e degli stranieri ne è stata l’attuazione pratica.

Pensiamo di lasciare ancora queste persone abbandonate per le strade del nostro paese?

 

 

 

Una domanda, chi è il mio prossimo?

La risposta è nel vangelo:

“34 Allora il Re dirà a coloro che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio; ricevete in eredità il regno che vi è stato preparato sin dalla fondazione del mondo. 35. Poiché ebbi fame e mi deste da mangiareebbi sete e mi deste da berefui forestiero e mi accoglieste, 36 fui ignudo e mi rivestistefui infermo e mi visitaste, fui in prigione e veniste a trovarmi“. 37 Allora i giusti gli risponderanno, dicendo: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 E quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato? O ignudo e ti abbiamo rivestito? 39 E quando ti abbiamo visto infermo, o in prigione e siamo venuti a visitarti?”. 40 E il Re, rispondendo, dirà loro: “In verità vi dico: tutte le volte che lavete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me” (Matteo 25, 31-46).

 

 

 

Il compimento.

Ecco allora come, da questo avvenimento, dal natale del signore, scaturisce e sovrabbonda la gioia. E’ finita l’attesa e il profeta può esclamare:

«Come sono belli sui monti
i piedi del messaggero che annuncia la pace,
del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza,
che dice a Sion: «Regna il tuo Dio».
[Isaia…]

 

Risentire oggi questo annuncio pacifichi i nostri cuori, ci risollevi dalla paura, ci infonda il coraggio necessario per cambiare la nostra vita, ci faccia portare un po’ di gioia e di speranza a chi ci sta vicino.

  • Note
  • (1) Il Protocollo di Minsk era un accordo per porre fine alla guerra dell’Ucraina orientale, raggiunto il 5 settembre 2014 dal Gruppo di Contatto Trilaterale sull’Ucraina, composto dai rappresentanti di Ucraina, Russia, Repubblica Popolare di Doneck (DNR) e Repubblica Popolare di Lugansk (LNR), sotto l’egida della Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa(OSCE)..
  • (2) immanu’el, cioè עִמָּנוּאֵל, composto dalle parole: אל (El, che significa “Dio”) e עמנו (Immanu, cioè “con noi”).
  • (3) Da Genesi 1.

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