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EDITORIALE

di Antonio Vargiu

E’ questa l’immagine che abbiamo scelto per il nostro presepe del Natale 2018: una donna con bambino cacciata dal Cara di Crotone e buttata sulla strada dopo l’abolizione dei visti umanitari da parte del decreto “sicurezza” di Salvini.

“E’ finita la pacchia”, uno slogan che va per la maggiore tra le forze politiche attualmente al governo: questa ne è l’attuazione pratica.

Ma rileggiamo i vangeli e, precisamente, quello di Luca, di sconvolgente attualità:

“…Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo…( Luca 2, 1-7)”.

La nascita del Cristo (l’ “unto” re per la salvezza degli uomini) ancora oggi è destinata ad operare un discrimine nei cuori degli uomini: tra chi si sente “cattolico” per tradizione, per i riti che ricordano la propria infanzia e giovinezza, ma che progressivamente hanno perso di significato reale, tra chi brandisce la croce come una spada (e purtroppo anche questo accade nella storia) e chi accetta l’ “avvenimento incredibile”, “umanamente assurdo”, quello di un dio che non si manifesta con potenza sfolgorante, ma accetta di condividere la condizione degli uomini più umili e poveri.

Ed ecco che arriva il Natale, dopo un periodo di preparazione all’avvenimento e di cambiamento dei nostri cuori (l’ “avvento”). Natale è il giorno del compimento delle attese e dell’entrata di dio nella storia degli uomini, è il giorno dell’Emanuele (ʼImmanuʻel-in ebraico: Dio è con noi) e di Gesù (Yeshua’ in ebraico: Dio salva).

Ma anche per i non credenti la celebrazione di un “natale”, di un giorno di nascita, non può essere indifferente: è, infatti, un’occasione per superare pessimismi e fosche previsioni sul futuro, è un’occasione per ritrovare fiducia nei destini dell’umanità.

A patto che tutti ci rimettiamo in gioco e facciamo la nostra parte, perchè il cammino, come abbiamo visto e vediamo ogni giorno, è duro. Perchè, ancora e dappertutto, risuona il grido di dolore di bambini innocenti uccisi nelle numerose guerre che insanguinano il nostro mondo o sfruttati o trattati come schiavi in condizioni disumane, per la guerra per il lavoro o per il sesso.

Purtroppo è sempre attuale il ricordo della strage, avvenuta tanti anni fa per mano di Erode. Tragicamente si adempì quanto detto per bocca del profeta Geremia:

Un grido è stato udito in Rama;

un pianto e un lamento grande:

Rachele piange i suoi figli

e non vuole essere consolata,

perché non sono più (Mt 2, 16-18)”.

Terminiamo con due brevi considerazioni.

La prima: qualcuno ha aperto un inutile e sciocco dibattito sul fare o no il presepio a Natale. La risposta è semplice: nel presepe cerchiamo di attualizzare la presenza, anche fisica, di Gesù nel nostro mondo. Non è un atto di prepotenza verso nessuno, ma semmai un invito a tutti i popoli a convergere verso i più umili per abolire discriminazioni e disuguaglianze e per contribuire a realizzare la salvezza dell’umanità. Il presepio non si lascia “brandire” contro, ma è un invito ad aprirsi all’accoglienza dell’altro.

La seconda: chi è il mio prossimo? La risposta è nel vangelo:

“34 Allora il Re dirà a coloro che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio; ricevete in eredità il regno che vi è stato preparato sin dalla fondazione del mondo. 35 Poiché ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere; fui forestiero e mi accoglieste, 36 fui ignudo e mi rivestiste, fui infermo e mi visitaste, fui in prigione e veniste a trovarmi“. 37 Allora i giusti gli risponderanno, dicendo: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 E quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato? O ignudo e ti abbiamo rivestito? 39 E quando ti abbiamo visto infermo, o in prigione e siamo venuti a visitarti?”. 40 E il Re, rispondendo, dirà loro: “In verità vi dico: tutte le volte che lavete fatto ad uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me” (Matteo 25, 31-46).

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