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A. “Radical-chic”…

Innanzitutto due premesse polemiche: leggendo certa stampa, sentendo soprattutto diverse radio private o i cosiddetti “social network”, sembra che chi non apprezzi l’elezione del nuovo presidente sia il solito “saccente di sinistra” che non sa perdere o addirittura un “radical chic”, che non comprende il “popolo”, che in un certo qual modo disprezza la maggioranza degli americani che si è espressa per Trump.

A questi ragionamenti noi non ci stiamo: non vogliamo essere complici di disvalori quali la guerra tra poveri, la supremazia di razza o di qualsivoglia etnia, una maggioranza momentanea usata come clava contro coloro che dissentono: in Europa abbiamo il concreto “esempio negativo” dell’Ungheria e, appena fuori, della Turchia.

B. …o “truffa elettorale”.

Ma ora avanza anche un’altra tendenza: quella di coloro che sostengono che, in realtà, il nuovo presidente non è come si è “auto-dipinto”: non è così “cattivo”, il muro con il Messico non si farà, le polizze sanitarie per i più poveri non saranno cancellate, le pistole e i fucili mitragliatori circolavano prima e continueranno a circolare adesso ecc. Insomma cambierebbe poco o niente, semplicemente coloro che hanno votato Trump sarebbero stati presi in giro: l’establishment finanziario ed industriale non sarà scalfito. Ovvero una specie di elogio di “elezioni-truffa”.

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C. Ma noi non ci crediamo: niente sarà come prima.

Per questo qui di seguito prendiamo posizione e cerchiamo anche di capire come è potuto avvenire, perchè, come sempre, quello che è avvenuto in America, prima o poi, ci coinvolgerà direttamente.

  1. I nostri valori sono agli antipodi di quanto “strombazzato” da Trump e dai suoi seguaci.

Vogliamo ribadire che, accettato l’esito delle elezioni, ci sentiamo assolutamente liberi di affermare che un presidente amico dei fabbricanti di armi, che vuol togliere di nuovo a circa 40 milioni di americani la polizza sanitaria introdotta da Obama (“Obamacare”), che ne erano privi in quanto impossibilitati a pagarsela, che vuole espellere dal paese circa 11 milioni di immigrati non in regola, che crede che il tema del “riscaldamento globale” sia stato inventato da un qualche paese straniero per “deprimere” l’economia statunitense, che non sopporta le donne (“eufemismo”) e per il quale il Ku Klux Klan si appresta a festeggiamenti straordinari non solo non merita il nostro apprezzamento, ma deve aspettarsi di essere combattuto sia perchè rappresenta la negazione dei nostri ideali di giustizia sociale sia per le conseguenze negative che rischiano di rovesciarsi, ancora una volta, sull’Europa e sul nostro paese.

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  1. Poche parole per alcuni semplici ragionamenti: la crisi economica…

Partiamo dai precongressi della Uiltucs, svoltisi, circa otto anni fa. La vittoria di Obama era sottolineata dal nostro segretario generale, Brunetto Boco, come un segnale di speranza e come segno di superamento di storiche barriere razziali e discriminazioni economiche e sociali.

Che cosa è successo nel frattempo per arrivare oggi a questo esito totalmente negativo?

Di mezzo c’è la crisi economica, causata dalla crisi finanziaria del 2008, partita dall’utilizzo spregiudicato in America dei cosiddetti mutui immobiliari subprime. La crisi si è poi trasmessa all’economia reale e si è riversata su tutta l’economia mondiale.

Conseguenze: a pagare, sembra sorprendente non sono state le banche, ma le fabbriche, il commercio, l’occupazione. Questo anche in America, nonostante che qui si sia reagito cercando, in primo luogo, di riavviare l’economia mediante politiche monetarie espansive. Un osservatore di queste politiche, Giuseppe Ferrari, scriveva sul suo sito (16 dic 2012, ma l’analisi è valida anche oggi):

Quello che mi ha colpito di più, scorrendo la sequela di grafici pubblicati su The Atlantic è la drammatica forbice che continua a dilatarsi fra l’aumento della produttività del lavoro e quella del reddito medio.

Probabilmente la chiave del problema…è tutta qui: se gli aumenti di produttività non vengono ripartiti su di una ampia base non si crea un mercato abbastanza vasto per assorbire la crescita dei prodotti che inevitabilmente essi creano.

Aveva forse ragione Marx? Il tema meriterebbe proprio una analisi molto più approfondita. Mi pare proprio possibile tornare a parlare di sfruttamento. Il che, per uno come me, è proprio il colmo”.

La situazione per quanto riguarda i lavoratori non è cambiata se, nel 2016, i dati sono i seguenti: sostanzialmente le disuguaglianze si sono accresciute nonostante una significativa ripresa economica.

3. …e la reazione dei ceti sociali.

Per questa analisi ci serviamo ampiamente di quanto scritto da Antonello Zecca sul sito “Identità insorgenti”(10 novembre 2016).

Confrontiamo la variazione tra l’ultima elezione presidenziale e la precedente (2012):”

  • Etnia – sebbene afroamericani, latinos e asiatici abbiano votato in maggioranza per la Clinton (rispettivamente 88, 65, e 65%), rispetto al 2012 assistiamo a una crescita di voto per Trump da parte delle ultime due etnie rispettivamente di 2 e 3 punti percentuale, e un aumento di 2 punti percentuale del voto afroamericano, con la Clinton che invece vede diminuirlo di ben 5 punti.

  • Classe – anche qui, gli scaglioni di reddito sotto i trentamila e cinquantamila dollari votano Clinton rispettivamente al 53 e 51%, ma assistiamo a un aumento di ben 6 punti percentuale per lo scaglione più basso per Trump in queste elezioni mentre significativamente diminuisce il voto ai Repubblicani negli altri scaglioni di reddito, quelli superiori a cinquantamila dollari.

  • Religione – interessante anche questo dato. Se la Clinton è votata in maggioranza da atei e appartenenti alla religione ebraica, Trump è votato in maggioranza da fondamentalisti evangelici, cattolici e da quello che nella nostra fonte viene identificato come altro. Questo è un valore che aumenta di 6 punti percentuale rispetto al 2012 e quasi certamente include anche la religione musulmana. Considerato l’atteggiamento quantomeno ambivalente di Trump nei confronti dei musulmani (almeno in un primo momento apertamente razzista), questo è un dato su cui riflettere.

  • Luogo di residenza – Trump predomina nelle periferie suburbane e nei centri rurali con il 50 e il 62% rispettivamente, mentre la Clinton ha un risultato ben più elevato nelle città superiori a cinquantamila abitanti.

Ci sono anche altri parametri non trascurabili come le percezioni delle condizioni generali dell’economia, la condizione finanziaria della propria famiglia e il voto dei militari, in cui Trump risulta di gran lunga primo. Molto interessante, infine, sono i tempi percepiti come più importanti da chi ha votato Trump: immigrazione e terrorismo”.

4. La conferma dello scollamento tra cittadini e classe dirigente.

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Da questi primi dati possiamo incominciare a trarre alcune prime conclusioni, che condividiamo con l’autore citato.

Innanzitutto abbiamo la conferma dello scollamento delle “élite capitaliste del Paese con i sentimenti, le emozioni, i desideri, le paure, la rabbia della classe operaia, i piccoli agricoltori, i disoccupati, le aree rurali depresse e schiacciate dai processi di transnazionalizzazione del capitale e dalle grandi multinazionali, insomma con il blocco sociale che, almeno parzialmente, ha votato Trump, e che tendenzialmente è ostile alla governance neoliberista, incarnata dai Democratici ma anche dalla gestione Repubblicana mainstream.

La narrazione autoreferenziale e autoconsolatoria di Washington, e dei media nazionali e internazionali si è trasformata in un sonoro boomerang. Evidentemente la favola della “ripresa economica” e della “uscita dalla crisi” si è infranta sul muro della realtà vissuta da milioni di persone”.

Chiudiamo qui questo articolo, per necessità sintetico, con la riserva di tornare sull’argomento con ulteriori e più ampi approfondimenti.

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