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 di Antonio Vargiu

A questo proposito riportiamo di seguito le considerazioni fatte su questo sito qualche anno fa, quando eravamo alla vigilia dell’abolizione del reddito di inclusione a favore del reddito di cittadinanza.

E’ una parte dell’articolo “Dagli 80 euro del governo Renzi e dal reddito di inclusione (Rei) al “reddito di cittadinanza”: continuità o strappo?”, pubblicato sul numero 43 (Ott-Nov-2018).

“IL REI: ALCUNE ESPERIENZE.

Ne accenniamo citando una intervista fatta ad Antonio Decaro, sindaco di Bari e Presidente dell’Associazione nazionale comuni italiani (3).

Alla domanda “Quali misure possono accompagnare l’introduzione del Rei per ridurre le diseguaglianze presenti nei vari territori”, il sindaco di Bari così rispondeva:

” Oltre alle varie misure di sostegno economico e i servizi dedicate alle persone in condizione di vulnerabilità che i Comuni abitualmente attivano, nel corso di questi ultimi anni molte amministrazioni hanno messo in campo alcune misure locali anche anticipatrici e/o integrative del…Rei.

Personalmente posso raccontare l’esperienza di Bari, dove il Comune ha previsto un reddito di supporto con i “Cantieri attivi di cittadinanza”, che è una misura nata nel 2014 e finalizzata a promuovere l’inserimento socio-lavorativo di persone disoccupate e inoccupate della città di Bari. Alla misura si accede con un reddito ISEE inferiore ai 3000 euro, attraverso l’attivazione di tirocini formativi presso operatori economici e sociali del territorio. Si tratta di una iniziativa che ha registrato numeri importanti: a luglio 2017 abbiamo 1149 cittadini ammessi al progetto, 190 imprese, 1147 persone che hanno sostenuto almeno un colloquio per un totale di 4735 colloqui, 575 tirocini avviati e 362 conclusi, e 45 rapporti trasformati in contratti di lavoro, con un investimento comunale di 1milione e 200mila e altri 800mila euro del 2016.

Posso inoltre richiamare altre esperienze locali, quali quelle del Comune di Livorno, che dal 2016 ha previsto un “Reddito di cittadinanza locale”; quella del Comune di Piacenza, con il Fondo Anticrisi 2016, o il Comune di Ragusa, che nello stesso anno ha adottato il “Reddito minimo di cittadinanza”. Si tratta dunque di misure sociali importanti di sostegno al reddito che hanno preceduto quelle nazionali (e in alcuni casi anche quelle regionali) e che oggi andranno armonizzate con il REI, come abbiamo chiesto al tavolo con il Ministero, Regioni e INPS il 20 dicembre scorso.

 

“Rastrellare” tutti i sussidi per farli confluire nel reddito di cittadinanza?

Partiamo da una prima considerazione: si sta allontanando sempre di più l’ipotesi di un reddito di cittadinanza di “tipo universale”, cioè dato a tutti i cittadini a prescindere dal reddito.

Questo perchè si stanno facendo i conti e si stanno verificando concretamente i forti oneri connessi con tutta l’operazione.

Ecco allora venire avanti una nuova ipotesi, quella di selezionare fortemente i beneficiari e “rastrellare” tutti i sussidi oggi esistenti con l’obiettivo di ridurre quanto più possibile i costi del nuovo “reddito di cittadinanza”.

Ne fa menzione recentemente Il Corriere della Sera (4):”… I tecnici del governo che lavorano sul reddito di cittadinanza hanno già spiegato che un assegno da 780 euro al mese, cioè la somma piena, andrà solo a chi vive in affitto e ha un Isee (indicatore della situazione economica familiare) pari a zero, non ha cioè né redditi né ricchezza patrimoniale. Se invece, pur avendo Isee zero, è proprietario della casa, dai 780 euro verrà scalato un affitto «figurativo» (almeno 280 euro) riducendo l’assegno a circa 500 euro.

Il sussidio sarà ancora più basso per chi ha redditi da lavoro (per esempio da part time o tirocini), e probabilmente anche per chi gode già di sostegni pubblici di qualunque tipo…ad esempio, se qualcuno usufruisce dei buoni per le mense scolastiche, dei sostegni all’affitto, di quelli per gli abbonamenti ai trasporti pubblici locali, delle integrazioni temporanee al reddito dei più bisognosi e così via. Tutti benefit che dovrebbero andare a decurtare il nuovo reddito”.

L’unica ottica non può essere quella della riduzione degli oneri di bilancio.

Riteniamo, però, che non possiamo trattare situazioni e condizioni personali solo con l’ottica di una riduzione degli oneri di bilancio. Come si può vedere, infatti, dall’elenco sopracitato ci sono assegni e benefici mirati a situazioni specifiche che, a nostro parere, dovrebbero essere mantenuti, anche se “scalati” dai 780 euro del “reddito di cittadinanza”.

In ogni caso -come abbiamo già indicato- sotto il nome di “reddito di cittadinanza” ci sono due problematiche, certamente collegate ma distinte.

La prima è il reddito che viene erogato in stretto collegamento con la ricerca di un lavoro.

La seconda questione riguarda il modo con cui si aiutano le famiglie povere a superare la propria condizione: qui è necessario offrire un supporto immediato sia per mezzo di servizi -dalla casa alla scuola, al sostegno per i bambini piccoli ecc.- che un “riorientamento” all’attività lavorativa dopo anni di esclusione dal mondo del lavoro.

Per questo -con particolare riferimento a questo secondo aspetto riteniamo che non debba essere smantellata l’esperienza del reddito di inclusione, che sta vedendo la scesa in campo delle amministrazioni comunali, ma anche di molte regioni, con un buon approccio metodologico, ma -almeno finora- con risorse economiche non adeguate ai compiti in cui sono impegnate.

Far scomparire il Rei significa far venir meno l’apporto della rete delle autonomie locali, che giustamente non si limita solo a fare un “compitino burocratico” -avviare le pratiche per chi ne ha diritto, far compilare correttamente i moduli di domanda ecc-, ma è vicina a chi ne ha bisogno con i propri operatori sociali ecc.

Bisogna inoltre tener presente che anche alcune importanti Regioni hanno previsto ulteriori significativi interventi contro la povertà, con aiuti riguardanti gli asili nido, le mense ecc.

La soluzione migliore ci sembra essere, quindi, quella che punta ad innestare i nuovi interventi sul rafforzamento e coordinamento di quelli già oggi esistenti”.

Queste nostre affermazioni di qualche anno fa possono essere utilmente incrociate con quelle, molto più recenti, fatte da due economisti, Tito Boeri e Roberto Perotti, con un articolo su Repubblica (1) da un titolo molto eloquente “Il divano è solo un mito. Il reddito sostiene chi non può lavorare”.

In effetti la prima parte dell’articolo è tutto dedicato a smontare la retorica del rifiuto del lavoro.

Dall’analisi dei dati Istat emerge infatti una dura realtà: solo un terzo dei “percettori del Reddito di cittadinanza…è in grado di lavorare… e fra questi una percentuale rilevante deve comunque ricevere formazione prima di essere collocabile.

I dati sulle assunzioni di lavoratori stagionali mostrano anche che sono fortemente aumentate rispetto al 2019, mentre mancano i cuochi nella ristorazione e qualifiche intermedie nel commercio che ben difficilmente si trovano fra i percettori del Reddito di cittadinanza. Semmai si lamentano carenze di stagionali in agricoltura dovute alla mancanza di manodopera immigrata, che non può ricevere il Reddito di cittadinanza perché non soddisfa il requisito di 10 anni di residenza continuativa previsto dalla legge. Se i teorici del “divano di cittadinanza” avessero guardato le serie Istat sui posti vacanti si sarebbero accorti anche che non c’è stata alcuna impennata dopo l’introduzione di questo strumento e che siamo tuttora al di sotto dei livelli del 2019”.

“Tutto questo non significa che il Reddito di cittadinanza funzioni a meraviglia. É anzi nostra convinzione che vada riformato. Può darsi che il suo importo sia eccessivo rispetto ai salari medi in certe regioni del Sud, ma questo è un argomento per differenziarlo tra regioni, non per abolirlo. Una scelta politicamente esplosiva, ma da valutare seriamente. Inoltre è necessario disfarsi della confusione di fondo che ha minato il Reddito di cittadinanza dal suo inizio: la commistione con le politiche attive per cui la gran parte delle regioni non erano preparate.

Infine il Reddito di cittadinanza raggiunge troppi pochi dei poveri oggi presenti nel nostro Paese. Questo significa che, una volta riformato, non costerà presumibilmente meno che adesso”.

  • Tito Boeri e Roberto Perotti , Il divano è solo un mito…, La Repubblica venerdì 17 settembre 2021.

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